Sogno di una notte di mezza estate, il musical

sogno di una notte di mezza estate

L’estate è il momento privilegiato per portare in scena il capolavoro di Shakespeare, scritto tra il 1593 e il 1595, che rivela ancora oggi una sorprendente attualità.
Sorge spontaneo un dubbio, in tempi in cui fioriscono musical su qualsiasi argomento: è proprio necessario mettere anche “Sogno di una notte di mezza estate” in musical?
Vero.
Siamo in tempi in cui è necessario giustificare un adattamento non so se “purtroppo” o “per fortuna”. Infatti, se c’è una nota che suona strana, è osservare spettacoli che nascono al contrario: per esempio un evento da celebrare, quindi, automaticamente, “ci vuole un musical”. Ma non dovrebbe essere meccanico “fare il musical”, e neppure un destino inelluttabile, un obbligo morale.
E che dire degli spettacoli che nascono per calcolo commerciale: in TV ha fatto successo, subito la versione in musical. Per carità lo stipendio bisogna portarselo a casa, ma qui, oggi, in Italia, anno 2012, pare un po’ che sia solo più questo l’obiettivo.
Una volta si scriveva un’opera anche perché c’era qualcosa da dire, forse.
Perché, dunque, anche noi vogliamo contribuire all’ennesima versione in musical di qualcosa? E per di più Shakespeare?

Il primo motivo è che abbiamo cominciato questo mestiere da quasi 30 anni, quando in Italia il musical non era così conosciuto, apprezzato e amato. Non stiamo correndo dietro ad una moda e non ci stiamo riciclando nel musical. É come quando uno, vista la confusione e il caos, decide di spostare il suo spettacolo in un’altra via, meno frequentata e più tranquilla, ma ad un certo punto succede che il luogo comincia a “tirare”, a “fare tendenza”, e allora si popola di una serie di individui intraprendenti che creano nuovamente il caos. Non è che uno può dire: “Ehi, voi! Andate da un’altra parte”. Insomma la strada è di tutti e chiunque può aprire la sua impresa per cui…. bisogna convivere.

Il secondo motivo va dritto al testo di Shakespeare che già nell’originale suggerisce in didascalia musiche, canti e balletti: qui non ci sono forzature da imporre come nel caso di musical ispirati a personaggi o vicende il cui rapporto con la musica o la danza è assente. “Sogno di una notte di mezza estate” in musical ha l’avallo del suo autore al punto che si tradisce l’opera se non vengono previste delle parti musicali e danzate. Altre opere del Bardo sarebbero difficili da riproporre in musical senza rischiare di fare una marmellata: pensiamo alle tragedie… “essere o non essere” in musica, mah! Onestamente ci avevamo pensato ma non abbiamo trovato una “soluzione degna” e poi, per un tema tragico, ci vuole uno stile appropriato, diversamente resta uno sfruttamento della fama e del nome di Shakespeare.

Terzo motivo, o meglio, giustificazione. Inizialmente, si è pensato di rispettare fedelmente una traduzione. Lette alcune versioni in versi è risultato evidente che il linguaggio sarebbe stato ostico per un pubblico di massa e soprattutto giovanile: le “Prove Invalsi” dimostrano che, ahimè, la lingua italiana parlata e conosciuta dai nostri figli è sempre più povera di vocaboli. E vogliamo parlare della conoscenza della mitologia antica? Non avendo tra i nostri obiettivi quello di parlare ad una ristretta cerchia di amanti del palcoscenico (cosa a cui sono dedicate già schiere di ortodossi shakespeariani), il problema del linguaggio andava risolto scegliendo una via di semplicità e comprensione. Così è stato fatto evitando molti riferimenti mitologici, gestendo un dialogo più stringato, rinunciando ai lunghi monologhi (adorati da attori e attrici), utilizzando un vocabolario a tratti colloquiale.
Ma il motivo più importante che ci muove a questa versione è la presunzione di aver qualcosa da dire… innanzitutto ai giovani che non conoscono Shakespeare.
“Sogno di una notte di mezza estate” è la storia di quattro giovani che nel bosco delle Fate, in una notte di plenilunio, vengono coinvolti nella lite tra Oberon e Titania.
Vediamo i temi che si aggirano in questo adattamento.

Scoperta e Distacco

Il passaggio tra la primavera e l’estate corrisponde nell’esperienza umana al passaggio dall’adolescenza alla giovinezza: tutta la natura descrive questo passaggio.
I maschi scoprono improvvisamente un altro interesse per la compagna di giochi dell’infanzia: è l’età della scoperta dell’altro sesso ed è come scoprire un mondo parallelo che fino a poco prima non sapevi neppure che potesse esistere.
Ermia fugge da suo padre Egeo, che la vuole mandare in sposa a Demetrio: in ogni storia d’amore che inizia per le adolescenti c’è un padre da “sostituire”.
Ermia fugge con Lisandro nel bosco della Fate che rappresenta la realtà sconosciuta… ed è la notte di luna piena, la luna che segna l’inizio dell’estate.

Il potere della Luna

“Noi vergini figlie di Artemide, conosciamo e temiamo il potere della luna piena”.
Elena, mette in guardia l’amica Ermia sul pericolo di stare da sola con Lisandro, di notte, nel bosco delle Fate:
“Chi semina alla prima estate raccoglie in primavera!” Cioè, nove mesi dopo. E infatti il povero Lisandro viene messo duramente alla prova dall’esuberanza di Ermia:
“Pioggia spegni questo fuoco! Oh! Diluvio, mai sono stata meglio sotto l’acqua! Non mi basta un temporale primaverile, voglio un nubifragio!”
La luna piena simboleggia l’apice dell’energia creativa: è la luna madre che accoglie in sé concetti opposti. Si mostra luminosa e incontaminata, vergine, ma è anche “esperta” perchéi ha compiuto un cammino. Una donna che diventa madre è come la luna piena: è esperta della vita, dell’amore, della sessualità e del dolore, tanto che ha concepito e partorito. In molti miti primitivi la Luna è femmina perché illuminata/fecondata dal Sole: la stessa natura con la luna piena si rivela più rigogliosa.
Detto questo, Elena mette in guardia Ermia sul fatto che non sarà facile resistere al desiderio di conoscere il sesso, e dovrà fare i conti con il rischio di restare incinta.
Ermia e Lisandro sono molto sicuri di sé, inesperti e un po’ presuntuosi come sono a volte i giovani: incoscienza oggi molto più rara da trovare, perché anche l’amore può essere “sicuro”, senza soprese, ma a quel tempo era ancora così.

Fate

In questo adattamento le fate hanno un ruolo simile a quello che aveva il Coro nel teatro greco. Non sono le classiche Fate con le alucce, tutt’altro: sembrano più seducenti sirene. Rappresentano l’energia che tiene legato il cosmo, la forza di attrazione che fa girare i pianeti e muovere gli esseri ad incontrarsi. Sono sempre insieme, cantano insieme ma sempre a due voci (e con armonie non propriamente semplici) perché sono doppie: positivo-negativo, ripuganza-seduzione, attrazione-repulsione, maschile-femminile,… Spiegano al pubblico il senso della storia che va cercato tra le rime dei loro testi.
“Tutto il cosmo ha una legge
che disegna e tutto regge…
l’universo si declina
negativo e positivo…
è il linguaggio della vita
limitata ed infinita…”

Attori

L’occasione di sfruttare il teatro nel teatro è sempre un assist che non si può lasciar cadere.
Questi Attori, sono sempre dei bifolchi, come in Shakespeare, ma sognano di diventare “attori di professione”.
“Forse anche per recitare ci vuole un mestiere?” chiede Egeo…
“Ma no!” Rispondono in coro affermando una idea tristemente diffusa che per fare l’attore non sia necessaria una preparazione ma tutto si risolva nell’improvvisazione, nella fortuna, nella bella faccia, nelle conoscenze o nelle coincidenze…

Concludendo

Insomma, speriamo di piacere al pubblico, certo, assolutamente… ma siamo partiti da qualcosa da raccontare che, forse, potrebbe anche non piacere.
Qui è la sola differenza… rischiare di attraversare il bosco come Ermia e Lisandro, e di trovare una sorpresa.
“Se sognare non sapete
domandate che ci fate?
Questo è il bosco delle Fate
e nulla fate senza Fate”

 

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