Stile

Collodi apre il racconto con una battuta esemplare che è rimasta tra gli incipit più noti della storia della letteratura italiana:

“C’era una volta…
— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.”

RisateL’ironia di Collodi stravolge immediatamente la struttura della fiaba tradizionale mostrando un anti-eroe: non un re o un principe, ma un pezzo di legno, e neanche di legno pregiato. Con lo stesso spirito Collodi affronta le successive citazioni, che, per quanto elevate ed importanti (Collodi riecheggia Dante, Ariosto e i grandi classici), vengono inserite in un contesto quotidiano e rese con linguaggio popolare. Asor Rosa (1995, p.70) ne individua molte, tra le quali ricordiamo l’episodio in cui Geppetto, mentre viene trasportato da Pinocchio a riva, scruta l’orizzonte per scorgere la spiaggia: “— Ma dov’è questa spiaggia benedetta? — domandò il vecchietto diventando sempre più inquieto, e appuntando gli occhi, come fanno i sarti quando infilano l’ago”, metafora utilizzata anche da Dante (Inferno, XV, 20-21) per descrivere il modo in cui i sodomiti fissavano da lontano Dante e Virgilio: “e sì ver noi aguzzavan le ciglia/ come ‘l vecchio sartor fa nella cruna”. La trasformazione di Pinocchio in ciuchino, invece, fa un chiaro riferimento alle Metamorfosi di Apuleio, in particolar modo quando l’asinello esprime scoraggiamento e desolazione per la metamorfosi appena avvenuta: Collodi scrive “A tali parole, i due ciuchini rimasero mogi mogi, colla testa giù, con gli orecchi bassi e con la coda fra le gambe” (cap XXXIII), mentre Apuleio così scrisse “E così col capo basso e ciondolante [...] mi avviai verso la stalla [...]”.

L’uso dell’ironia è accompagnato anche da altri strumenti retorici, come il non-sense o il grottesco, che ne amplificano gli effetti e pervadono il testo per intero, salvo per quelle parti più pedagogiche tese a criticare il comportamento del burattino. I frequenti riferimenti al colore e l’attitudine alla caricatura rivelano l’influenza della pittura macchiaiola, che si era sviluppata a Firenze proprio sul finire dell’Ottocento. Il linguaggio popolare, l’ampio uso di discorsi diretti, i racconti a perdifiato in cui episodi lontani tra loro si trovano uno accanto all’altro, annullando ogni possibilità di nesso logico, sono tutte formule tipiche del racconto orale, che trova nei discorsi del burattino, in particolar modo quando racconta cosa gli è avvenuto e confessa le proprie colpe, la sua massima espressione. A rendere la spontaneità e l’immediatezza del racconto orale è l’abbondante uso di fiorentinismi.

A metà tra fiaba e racconto orale, la narrazione di Pinocchio si contraddistingue anche per la forte componente teatrale che l’anima, a partire dal progetto iniziale di Geppetto di guadagnarsi il pane andando in giro per il mondo a fare spettacoli con il suo burattino. Successivamente entra in scena letteralmente la Commedia dell’Arte in quel Gran Teatro dei Burattini dove le diverse maschere riconoscono Pinocchio come fratello e, infine, vediamo Pinocchio, trasformato in ciuchino, esibirsi al Circo con pagliacci e acrobati. Se da una parte abbiamo molteplici aspetti esteriori e fisici che rimandano al mondo del teatro, dall’altra abbiamo una forma di teatralità nella narrazione: caricature ed eccessi, grandi colpi di scena, fughe ed inseguimenti ed, infine, l’uscita di scena del burattino, prova di grande teatralità.

Se è preponderante la componente faceta e teatrale, che usa l’ironia per dissacrare la contemporaneità, non si può dimenticare l’altro versante stilistico, quello melanconico e tenebroso, più discreto forse, ma non di secondaria importanza. Paura e divertimento permeano insieme le avventure di Pinocchio e il lettore vi può riconoscere i propri desideri e le proprie angosce.