Dichiarazione universale dei diritti umani
Il 10 dicembre 1948 la Dichiarazione universale dei diritti umani viene approvata a Parigi dall’Assemblea Generale dell’ONU, con l’astensione dei paesi legati all’URSS, dell’Arabia Saudita e del Sudafrica. La commissione cui fu affidato il compito di redigere il testo della Dichiarazione fu presieduta da Eleanor Roosevelt e impiegò quasi tre anni per terminare il proprio compito, dovendo superare gli interessi contrapposti dei diversi Stati e dovendo tracciare una linea comune a religioni e culture completamente diverse, per non parlare delle problematiche conseguenti la guerra fredda.
La Dichiarazione universale dei diritti umani, pur non essendo un documento giuridicamente vincolante, segnò una tappa fondamentale nella lotta per la tutela dei diritti umani. È composta da 30 articoli che elencano i diritti fondamentali di ogni essere umano, delinea con precisione il concetto di dignità umana, dandogli un fondamento teorico oggettivo e afferma il carattere di universalità e inalienabilità di tali diritti. La seconda guerra mondiale si era appena conclusa e le terribili conseguenze che questa aveva portato con sé pesavano sulla coscienza di tutti. Per evitare altri terribili scempi e disastri le Nazioni Unite lavorarono su un testo che potesse diventare la “Magna Charta universale di tutti gli uomini, ovunque”, come la definì Eleanor Roosevelt quando la presentò davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
I diritti umani sono considerati come superiori rispetto alle leggi e agli interessi nazionali, universali, validi quindi ovunque e sempre, e indivisibili, che significa che non è possibile stabilire una gerarchia per cui alcuni diritti sarebbero più importanti di altri. La Dichiarazione è stata affiancata successivamente da Patti e Trattati che ne hanno precisato e rafforzato i princìpi enunciati e hanno reso vincolante per gli stati firmatari il rispetto degli stessi, per quanto molte violazioni ad oggi riescano purtroppo a sfuggire i controlli.
Il primo articolo della Dichiarazione getta le basi del riconoscimento basilare dell’eguaglianza di tutti gli uomini: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. L’art. 2 precisa che tale uguaglianza non ammette alcuna distinzione di razza, di colore, di sesso e nell’art.3 vengono enunciati i diritti fondamentali “alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Seguono i diritti civili, quelli politici e infine i diritti economici, sociali e culturali.
Occorre precisare che il testo della Dichiarazione non è privo di ambiguità e di espressioni generiche, rinviando spesso alle leggi che ogni stato emanerà per disciplinare la materia lasciata scoperta dal testo internazionale. Un esempio è l’art. 29, che indica quali sono le limitazioni ammissibili dei diritti umani: “Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica". "Morale", "ordine pubblico", "benessere generale in una società democratica" sono tutti concetti molto generici, che si prestano a facili manipolazioni.
Dichiarazione universale dei diritti umani