Economia e Finanza

Scrooge e la crisi finanziaria

Come afferma Giulio Tremonti nel suo libro Uscita di sicurezza (Rizzoli, 2012), uno dei principali fattori, insieme alla globalizzazione e alla deregolamentazione della finanza, che hanno consentito l’enorme proliferare della finanza creativa è stato internet, non perché in sé la rete sia “dannata” ma perché ha consentito di smaterializzare il rapporto che legava da sempre il creditore e il debitore.
In questo senso, mister Scrooge di Dickens rimane un classico esempio del creditore vecchia maniera (si potrebbe dire 1.0), che prestava i denari solo a persone di cui potersi davvero fidare per guadagnare la propria parte. Se mister Scrooge ci appare come una caricatura umana che però infine è capace di redenzione, gli odierni mister Scrooge (o mister Scrooge 2.0) hanno perso ogni forma di umanità, avendo imparato a guadagnare persino quando perdono (si vedano le dichiarazioni dei finanzieri nel documentario “Inside Job”).

“Alla base del mercato finanziario, c’è un’ideologia potente e dominante che tende ad azzerare la parte migliore della natura umana, riducendo la vita nell’economia e l’economia nella finanza, un mostro che oggi si alimenta divorandoci e infine divorandosi” (Tremonti 2012, p. 8).
Se già il capitalismo 1.0 si basava su regole che producevano enormi ricchezze a scapito di enormi povertà, questa nuova forma di capitalismo 2.0 non solo ha ulteriormente aggravato la situazione dei Paesi poveri ma ha addirittura portato il terzo mondo nel primo mondo.
L’attuale crisi finanziaria è paragonata da Tremonti alla lotta ingaggiata con un mostro in un videogame: lo affronti, lo vinci ma poi ne arriva un altro. A un certo punto non bastano più le piccole regole per difendersi dal mostro perché il prossimo mostro potrebbe essere invincibile. Bisogna uscire dal videogame.

E una via d’uscita c’è. Essa appare legata alle seguenti condizioni:

  • che la società e la politica tornino a dettare semplici regole alla finanza (distinzione tra banche speculative, le quali devono pagare per i propri errori, e banche che finanziano l’economia reale),
  • che i governi nazionali si diano alcune regole condivise di comportamento,
  • che nascano strumenti europei di finanziamento (Eurobond) che risultino non attaccabili dalle speculazioni finanziarie.

Dal caos di questa forma di capitalismo 2.0 – il capitalismo ultra globalizzato, deregolamentato e smaterializzato che è giunto a creare dal nulla sopravanzando sul mercato e sui popoli – si può dunque insieme e lentamente tentare di uscire per ricostruire un sistema mondiale più equo (3.0). Forse questa è l’opportunità nascosta nell’attuale minaccia.
Il Gioco Credit War 3.0 (vedi la sezione dedicata alle attività) intende offrire una simulazione proprio di questa situazione.

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La crisi del credito: cosa è successo nel 2008

La crisi che è scoppiata negli Stati Uniti nel 2008 e ha successivamente investito l’Europa dipende dalla crisi dei mutui cosidetti “sub-prime”, a sua volta connessa con varie forme di “finanza creativa” posta in essere da alcune banche. Come in un film, mettiamo con ordine i personaggi e le scene sul tavolo, comprendendo il funzionamento di ciascun personaggio e vedendo poi come è stato girato il film, chi ha perso, chi ha vinto e chi non ha perso.

STRUMENTI E PERSONAGGI IN GIOCO

  • Mutui sub-prime. Fino ai primi anni 2000, una famiglia che volesse accendere un mutuo per acquistare la propria casa doveva poter garantire l’Istituto creditore (cioè colui che in un certo senso acquistava la casa per conto della famiglia) di poter far fede al debito contratto restituendo il finanziamento attraverso le rate pattuite. L’Istituto creditore si poteva ragionevolmente fidare di una famiglia in cui padre e madre avessero uno stipendio fisso e qualcun altro potesse in qualche modo garantire per loro di avere un retroterra su cui potersi rivalere. Una famiglia affidabile era considerata di “serie A”, in gergo “prime”. Per qualche motivo – che scopriremo più avanti – ad un certo punto alcuni Istituti creditori hanno trovato redditizio vendere mutui a famiglie meno affidabili, di “serie B”, in gergo “sub-prime”.
  • Collateralised Debt Obligations (CDO). Una delle forme espressive di creatività della finanza consiste nell’assemblare prodotti finanziari diversi (cioè azioni, titoli…) e venderli in pacchetti aventi tassi di interesse diversi, direttamente proporzionali al rischio di perdita: una specie di gioco d’azzardo. Chi vuole rischiare poco, sceglie prodotti più sicuri che però verranno anche meno ricompensati. Chi proprio non vuole rischiare paga addirittura una specie di garanzia (Credit Default Swaps – CDS).
  • Le Famiglie, i Creditori, il Sistema finanziario. Un mutuo costituisce il punto di raccordo tra una famiglia che desidera una casa e dei creditori che offrono il proprio denaro diventando investitori (cioè imprestando il denaro nella speranza che troni indietro con gli interessi). Su larga scala, i due gruppi costituiti da famiglie e creditori vengono messi in contatto da un terzo gruppo costituito da banche e broker (il Sistema finanziario). Notiamo che il gruppo dei creditori, su larga scala, è costituito da Fondi pensioni, Compagnie assicuratrici, Fondi sovrani, ecc. Dietro a queste istituzioni ci sono quindi “creditori” molto differenti tra loro: grandi aziende, persone fisiche, Stati, singoli risparmiatori o categorie di risparmiatori.

LA SCENEGGIATURA DEL FILM

Prima scena. L’investimento secondo il metodo tradizionale (1.0)
Anni fa gli investitori possedevano molto denaro e andavano alla ricerca di un buon investimento per ottenere maggior denaro. Il gioco funzionava più o meno così. Di solito si rivolgevano alla Banca Centrale (negli Stati Uniti si chiama Federal Reserve, in gergo FED) per imprestare soldi allo Stato acquistando Titoli di Stato: un investimento sicuro con un buon interesse. Poi facevano gli affari più o meno in questo modo. Investivano il proprio denaro comprando, ad esempio, una scatola a 10.000 $ rivendendola a 11.000 $ e guadagnando 1.000 $: un buon guadagno.

 

Seconda scena. L’investimento secondo il metodo moderno (2.0)
Ma alla vigilia della crisi il presidente della FED, Alan Greespan, abbassò i tassi di interesse all’1%, per mantenere forte l’economia. Questo significava che non era più conveniente imprestare soldi allo Stato ed era molto meglio tentare altre strade. D’altro canto la FED impresta soldi allo stesso tasso di interesse dell’1%: questo rende molto facile chiedere un prestito. Il risultato finale è che c’è sul mercato una grande abbondanza di soldi liquidi, cioè di credito a buon mercato pronto per essere investito. Ecco che le banche fanno qui uso della Leva finanziaria (in gergo “leverage”). Il gioco funziona così. Un investitore che possiede 10.000 $ va e chiede in prestito 990.000 $ per avere così 1 milione di dollari. Poi con questo milione compra 100 scatole e le rivende a qualcun altro per 1.100.000 $. Poi restituisce i 990.000 $ più 10.000 $ di interesse e, alla fine, oltre ai suoi 10.000 $ iniziali, questo investitore moderno si tiene 90.000 $ di guadagno: molto di più dell’affare da 1.000 $ dell’investitore tradizionale. Il Leverage trasforma così un buon affare in un affare grandioso. Questo è oggi il metodo più diffuso dalle banche di fare soldi.

 

Terza scena. Una casa per tutti: i mutui prime
Possedere grandi quantità di credito fa venire in mente alle banche un’idea: mettere in contatto gli investitori con le famiglie che desiderano una casa attraverso lo strumento dei Mutui. Ecco come funziona. Una famiglia vuole la casa. Così si rivolge a un mediatore che le propone un mutuo: cerca un investitore che presti denaro per comprare tutta la casa. Il mediatore guadagna la sua parte. Poi la famiglia pian piano restituirà i soldi all’investitore. Tutto questo va molto bene per tutti. Anche per la famiglia perché la casa continuerà nel tempo a crescere di valore. Negli Stati Uniti questa compra-vendita viene anche sostenuta dal Governo, che propone politiche come “Una casa per tutti”.

 

Quarta scena. Le banche, il Leverage e i CDO (3.0)
Ma un giorno l’investitore che possiede il mutuo sulla casa riceve una telefonata da una banca che vuole comprare il mutuo offrendogli naturalmente un valore ancora più alto. La banca fa la stessa cosa per centinaia di volte e mette insieme questi mutui acquistati, in una stessa scatola. Ogni mese riceverà gli interessi che vengono versati dalle famiglie. Ma a questo punto il banchiere si trasforma in un mago e compie un’operazione di finanza creativa. Divide la scatola che viene assemblata (denominata CDO) in  tre diversi scompartimenti: sicuro, ok e a rischio. Ma la scatola viene venduta compatta. Tutto bene, finché le sezione sicura e ok  riescono anche a coprire le eventuali perdite della sezione a rischio. Ma siccome i soldi arrivano dalle famiglie, se qualcuna – o molte – cominciano a non pagare, allora la sezione a rischio comincerà a rimanere senza copertura. Per garantire un miglior rendimento, la sezione a rischio viene venduta con un interesse del 10%, quella ok al 7% e quella sicura al 4% (ma poi le banche a quest’ultima addebitano uno SWAP che fa scendere il rendimento al 3%). Le agenzie di rating attribuiscono alla sezione sicura il rating AAA, a quella ok BBB e a quella a rischio nessun rating. Così le banche possono vendere la sezione AAA agli investitori che non voglio correre rischi, quella BBB ad investitori che si assumono qualche ragionevole rischio a fronte di un buon guadagno e la sezione a rischio a investitori senza scrupoli. In questo modo la banca guadagna milioni. Ma anche gli investitori sono molto soddisfatti perché guadagnano molto di più dell’1% promesso dalla Federal reserve. Così gli investitori chiedono ancora altri mutui da comprare. Ma a un certo punto i mutui finiscono perché tutte le famiglie hanno già una casa.

 

Quinta scena. La grande idea dei mutui sub-prime (4.0)
A questo punto ecco l’idea. Se le famiglie non riescono a pagare il mutuo la banca può pignorare la casa e rivenderla a un prezzo più alto. Allora diventa interessante per la banca vendere le case proprio alle famiglie inaffidabili (non prime ma subprime): così potrà pignorarle e rivenderle guadagnando due volte. Questo è il punto di svolta! Quando si vende il mutuo a qualcun altro si fanno milioni e si trasferisce il problema (cioè il fatto che magari la famiglia non pagherà la quota mensile) a qualcun altro, facendo il gioco della patata bollente. E si è andati avanti così per anni. Ma tutto questo costituisce una bomba ad orologeria. Vediamo come. In una prima fase i guadagni aumentarono ulteriormente proprio perché le famiglie subprime andarono in bancarotta: in quel mese la Banca invece di una rata del mutuo si ritrovava come introito l’intera abitazione da poter rivendere. Così aumentarono anche sul mercato i mutui. Ma in una seconda fase, quando i fallimenti divennero troppi, ci furono troppe case in vendita che cominciarono a non essere più comprate da nessuno, così, essendoci più offerta che domanda, i prezzi cominciarono a scendere. E i guadagni diminuirono. In una terza fase, accelerata, persino le famiglie Prime smisero di pagare il loro mutuo: infatti perché continuare a pagare per una casa che un tempo valeva 300.000 dollari ma oggi vale solo più 90.000?

 

Sesta scena. La bancarotta: le banche, gli investitori e le famiglie (5.0)
A questo punto le banche possiedono scatole piene di case che nessuno vuole più, che nessun investitore intende più comprare. E in più quella scatola le banche l’hanno comprata per milioni che non possono più restituire, visto che non riescono a venderla. E se qualche creditore comincia a chiedere il conto alle banche, queste non potendo più pagare vanno in bancarotta. A loro volta anche gli investitori possiedono scatole che le banche non vogliono più comprare. I primi a saltare sono i Mediatori perché non hanno più lavoro: nessuno che vende e nessuno che compra. Così il mercato si congela. La scena finale: la banca chiama la famiglia prime e le dice che i suoi investimenti sono ormai senza valore perché il valore delle case è crollato e con esso il credito delle famiglie.

 

LA CRISI SI DIFFONDE

A seguito della bancarotta di alcuni Istituti di credito americani vengono aperte inchieste che, di fatto, non modificano a tutt’oggi le cause della crisi, prima fra tutte la possibilità per gli Istituti di credito di operare contemporaneamente sull’economia reale (a supporto di famiglie e imprese reali) e sulla speculazione (giocando d’azzardo). Anche alcuni personaggi chiave della crisi sono rimasti saldamente ai loro posti o, nel peggiore dei casi, sono stati estromessi dalla scena ma senza pagare un solo centesimo per i propri errori o colpe. Tutto questo è magistralmente raccontato nel Film di  Charles Ferguson “Inside job”, premio Oscar 2010: un film da vedere per comprendere lo sfondo e le figure del dramma. Nel frattempo – e qui usciamo dalla storia ed entriamo nella cronaca – la crisi si diffonde ed attacca i Titoli sovrani in Europa: Grecia, Spagna, Italia.

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Breve storia dell'economia

Si è soliti suddividere in 4 grandi fasi la storia dell’economia.

  1. L’età preindustriale (dagli inizi sino alla fine del 1789)

    Questa prima fase è caratterizzata dall’utilizzo della forza dell’uomo, degli animali e della natura per la produzione dei beni. In questo contesto la produzione – essendo molto costosa e dipendente da energie scarse – è sempre orientata alla sola sussistenza. Lo Stato si limita a difendere il territorio, le imprese si occupano di piccole produzioni e del loro trasporto e commercio mentre la maggior parte delle persone si occupa di agricoltura e allevamento.
    La distribuzione delle merci avviene sempre utilizzando le stesse forze che ne hanno determinato la produzione: carri, cavalli e navi sono gli unici mezzi di trasporto esistenti. La stessa comunicazione tra gli uomini segue le medesime vie e mezzi. Innovazioni che potevano far viaggiare più velocemente delle merci la comunicazione erano i piccioni viaggiatori e i segnali con le fiaccole tra le torri. Distribuzione delle merci e comunicazione nel periodo preindustriale sono incerte, lente e discontinue.
    Dapprima il commercio è così limitato che fa uso del baratto, direttamente tra una merce e l’altra. Poi nascono la moneta, per semplificare e uniformare il valore delle merci.
  2. La prima rivoluzione industriale (1789-1880 circa)

    Verso la fine del 1700 l’uomo comincia ad utilizzare il carbone per produrre energia e questa innovazione comporta due importanti conseguenze: aumenta la quantità di energia a disposizione e migliora la distribuzione dell’energia stessa. Un mulino ad acqua, infatti, per funzionare doveva essere costruito su un corso d’acqua.
    La macchina a vapore può essere costruita ovunque e può addirittura essere utilizzata per muoversi senza dipendere dalle risorse che si troveranno lungo il viaggio (cambi di cavalli, cibo…). Nascono le prime ferrovie e le grandi navi.
    Nasce anche in quest’epoca la figura dell’imprenditore, una persona capace di organizzare la produzione, tessere accordi con altri, commerciare. Anche i sistemi di comunicazione umana si sviluppano: nasce il telegrafo e la comunicazione - tramite i cavi posati anche sul fondo del mare – si muove in tempo reale mentre la posta si muove con i treni e le navi, con una maggior certezza e continuità. Gli scambi commerciali – sia per i mezzi di trasporto che per quelli di comunicazione – aumentano di molto.
    Anche molte persone si spostano: dalla campagna ci si sposta in città e si diventa operai nelle fabbriche. Nasce qui anche l’economia intesa come studio delle regole della rivoluzione industriale.
  3. La seconda rivoluzione industriale (1880-1970)

    Verso la fine dell’1800 avviene un graduale passaggio – almeno in Europa e negli Stati Uniti – ad una nuova fase, caratterizzata da un’esplosione demografica delle città e da una crescita costante e abbondante dei prodotti.
    Si sviluppano così le industrie e, per la prima volta, si dispone di grandi quantità di materie prime come il ferro e di grandi scoperte e invenzioni in molti settori, come quello automobilistico, che permette di liberarsi dal trasporto su rotaia e di utilizzare la nuova energia del petrolio e dell’invenzione del motore a scoppio. L’automobile completa così il circolo delle merci. Infine nascono la luce elettrica e il motore elettrico, silenzioso e non inquinante nel luogo di lavoro.
    Così la produzione può essere suddivisa in diverse fasi, realizzate anche in luoghi e tempi diversi: nasce la divisione scientifica del lavoro, la catena di montaggio e i tre turni di lavoro. Il risultato finale è l’esplosione della produzione e, quindi, dei consumi. Il petrolio è un’energia chiaramente non infinita. Ma in quegli anni è avvertita come infinita, tanto è abbondante.
    Nasce anche il telegrafo senza fili e poi il telefono. Si sviluppano i mezzi di comunicazione di massa: anzitutto la radio. In seguito, la televisione. Molte informazioni che prima erano già divenute rapide ma poco diffuse vengono poste a disposizione di grandi masse di persone.
    Un volano nella produzione e distribuzione delle merci è, suo malgrado, la prima guerra mondiale (1915-1918). Nel dopo guerra l’economia si trova con una grande offerta di merci e una scarsa domanda, dal momento che la gente è povera. Le tre soluzioni a questo problema vengono proposte dallo Stato, dalle imprese e dalla pubblicità. Gli Stati, per sostenere le industrie, cominciano ad acquistare le merci per ridistribuirle alla popolazione, pagandole con le tasse che prelevavano. In secondo luogo, le paghe dei lavoratori subiscono un incremento per consentire loro di acquistare di più. Infine, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, le imprese convincono la gente a consumare di più.
    Naturalmente tutto ciò ha molti costi: la qualità della vita nelle città si abbassa, l’ambiente viene sfruttato, la libertà in molti Paesi viene imbrigliata in sistemi collettivistici o individualistici che suscitano movimenti e scontri sociali.
  4. L’età postindustriale (1970- )

    Comunicazione e trasporti, già divenuti efficaci e capillari durante la seconda rivoluzione industriale, subiscono un ulteriore mutamento con la nascita dell’elettronica e dell’informatica. Nell’età postindustriale i computer possono realizzare in breve tempo e spazio operazioni complicatissime e regolare in questo modo la produzione, l’organizzazione del lavoro, la distribuzione delle merci, i trasporti, le operazioni militari, la comunicazione.
    Via via che i computer si fanno più piccoli ed economici, le imprese e le famiglie hanno a disposizione nuovi strumenti di lavoro e di organizzazione delle proprie attività. Le fabbriche non hanno più bisogno di grandi numeri di operai, perché le macchine possono essere comandate dai computer. Da un lato quindi si perdono posti di lavoro, dall’altro ne nascono di nuovi, legati alle produzioni informatiche e ai servizi, che superarono presto il numero di addetti rispetto all’industria. La comunicazione, da analogica, diviene digitale, comprimendo le informazioni in piccoli spazi e permettendo di trasferirle tramite internet e le frequenze su cui trasmettono i dispositivi portatili.
    La globalizzazione libera le merci e i servizi dai confini statali: così avviene anche per il denaro e la finanza. Le condizioni e quindi il costo del lavoro non sono però uguali in tutto il mondo: pertanto diviene più conveniente produrre in alcuni Paesi piuttosto che in altri. In molti Paesi si sta vivendo ancora nella seconda rivoluzione industriale. Il mondo è sì globale – attraverso la digitalizzazione e la comunicazione – ma vive profonde schizofrenie.
    Altra questione dell’età postindustriale è il problema energetico e della sostenibilità. Se nella prima rivoluzione industriale dominava il carbone e nella seconda il petrolio, in questa età postindustriale si fanno i conti e si comprende che il petrolio presto finirà e bisogna affidarsi ad altre fonti di energia: il nucleare e le energie rinnovabili della natura (solare, geotermico, eolico…). Il problema della sostenibilità dello sviluppo nasce in quest’epoca, sia come necessità di trovare nuove energie sia come esigenza di conservare e rinnovare la qualità della vita dei popoli e del pianeta. Qualcuno pensa che sia necessario uscire dal sistema di crescita progressiva in cui la rivoluzione industriale ci ha inseriti e risparmiare e, addirittura, decrescere.

I teorici della Decrescita

Economisti come Serge Latouche, teorizzano una nuova prospettiva che va contro l’idea dello sviluppo continuo o anche solo “sostenibile” e propongono provocatoriamente una “Decrescita”, per distinguere in quali campi è bene crescere (ad esempio nel cibo, nei rapporti umani…) e in quali è bene decrescere (il consumo, i rifiuti…). Si sono persi il senso della misura e del limite che invece in natura sono sempre un dato di realtà. Questo vale anche per il tempo, come per il lavoro e i consumi. Se non si farà qualcosa per uscire da questo Sistema economico si va incontro al disastro. Tocca ai politici trovare l’uscita. Si noti, nelle conclusioni pratiche, la convergenza con Tremonti. Si veda un’intervista a Che tempo che fa, dopo la crisi finanziaria (marzo 2009): http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-d8f3faa7-b798-4d8a-9cf0-65690782794f.html. Top

Economia e sistemi economici

Lo sviluppo economico

Negli ultimi duecento anni si è verificato un notevole aumento della Produttività. La Produttività è il rapporto tra output (il prodotto che esce dalla fabbrica) e input (le materie prime e le risorse umane e tecnologiche necessarie per produrre). Si può aumentare la produttività di un’impresa aumentando la quantità o qualità del prodotto, oppure diminuendo il costo o la qualità delle materie prime o delle risorse utilizzate per ottenerlo. Il fenomeno della globalizzazione è direttamente connesso a tale questione: le imprese, per aumentare la produttività, hanno spostato la propria sede in luoghi della terra dove il costo del lavoro è inferiore.
Con l’aumento della produttività, emergono fenomeni prima sconosciuti, come quello della disoccupazione. Lo sviluppo economico, basato sulle scoperte e invenzioni che possono aumentare la produttività di una società, non può però dirsi tale se viene raggiunto a scapito di una più generale qualità della vita (salute, ambiente, educazione, lavoro e occupazione…).

I sistemi economici classici

Cosa produrre, quanto produrre e per chi produrre sono tre questioni che determinano le differenze tra i diversi sistemi economici.
Il mondo preindustriale, tradizionale, si basava sulla proprietà di terra, animali e schiavi. Un sistema in cui le regole erano imposte dal signore feudale, capo dell’impresa e anche amministratore della giustizia. I ruoli professionali e sociali si tramandavano di padre in figlio in una forma statica.

Il Capitalismo e il Collettivismo

Dalla fine del 1500, con l’aumento della colonizzazione europea delle Americhe, ci troviamo di fronte ad un enorme aumento di materie prime e merci, a scapito di ampie masse di schiavi e lavoratori sotto pagati. Nascono così i grandi patrimoni, i grandi capitali.
L’aspetto caratterizzante del sistema capitalistico è la libera ricerca del profitto dell’imprenditore privato, in competizione con le altre imprese e all’interno dei limiti imposti dall’autorità statale.
Anche il consumatore è libero di consumare i prodotti che ritiene.
Nel corso del 1800 si produce un enorme squilibrio tra coloro che possiedono i mezzi di produzione – gli imprenditori – e coloro che prestano il proprio lavoro. Nella maggior parte dei Paesi si sviluppa un’economia capitalista di liberi imprenditori privati mentre in alcuni Paesi si sviluppa un’economia statale, che fa uso di un’economia pianificata, basata sull’uguaglianza dei lavoratori e il collettivismo, dove tutti hanno un lavoro e un reddito minimo garantito.
Dopo il 1990 le economie pianificate con il loro insieme di prodotti omologati non reggono il mercato in quanto si modifica il concetto stesso di prodotto: non solo una realtà materiale ma un simbolo, una forma espressiva, un pensiero, una cultura.

Sistemi ad economia mista

In Italia si fanno due scelte. Fino al 1920 l’economia, pur con una notevole permanenza di economia tradizionale (grandi possedimenti terrieri), si sviluppa un modello capitalista. Dopo il 1920, a parte i tentativi corporativistici del fascismo, l’Italia sceglie un sistema che da una parte riconosce la proprietà privata mentre dall’altra la vede in funzione dello sviluppo sociale (Art. 41 della Costituzione). Si sviluppa così un sistema ad economia mista, in cui lo Stato si riserva di premiare o limitare alcuni tipi di attività e, addirittura, di intervenire direttamente nelle imprese. Attualmente, persino nei Paesi più progrediti e liberisti, lo Stato interviene a regolare alcune questioni, soprattutto per la gestione della moneta, delle banche e della finanza.

L’impresa, i fattori della produzione, lo sviluppo sostenibile

I principali fattori della produzione che supportano l’impresa gestita dall’imprenditore sono: la terra e le sue ricchezze, il capitale, il lavoro umano, lo Stato con i suoi servizi di base. Spesso i fattori della produzione sono posseduti dall’imprenditore. Altre volte, e oggi sempre di più, l’imprenditore è solo un organizzatore che ha una buona idea e prende in prestito i fattori per la produzione.
L’imprenditore, puntando al profitto, fa uso dei fattori di produzione, ripaga l’utilizzo dei fattori non in suo possesso e ricava un risultato.
La terra è il primo dei fattori produttivi, intesa come materie prime ed energia utilizzata per il processo. Il tema dell’energia è oggi particolarmente attuale, in quanto lo sviluppo delle attività umane ne ha messo in luce la scarsità o la non rinnovabilità. La stessa cosa può valere per le materie prime, specie per quelle più rare. Un tempo un villaggio utilizzava un quantitativo di legna per le proprie attività di un anno. Attorno a sé aveva boschi sufficienti che nel tempo ricrescevano mantenendo l’equilibrio. Aumentando le attività o il numero degli abitanti, il villaggio non avrebbe più potuto sostenersi e avrebbe cominciato ad intaccare il patrimonio boschivo. Nella prima rivoluzione industriale, il carbone costituì una soluzione. Ma oggi le attività e il numero di abitanti della terra sono talmente elevate che si pone il tema delle energie rinnovabili.
Il lavoro è il secondo dei fattori produttivi. Si tratta del fattore umano: la cosiddetta mano d’opera. Altro fattore produttivo è il capitale: il denaro che l’imprenditore possiede o chiede in prestito ad un interesse. Per capitale si considera anche il macchinario e gli immobili posseduti.
Altro elemento è la capacità organizzativa dell’imprenditore o dei manager.
Lo Stato come fattore produttivo gioca un suo ruolo, in quanto le leggi, gli incentivi e le tasse possono agevolare o ostacolare lo sviluppo delle imprese.

Le famiglie e le imprese

La famiglia costituisce per l’economia un nucleo base di consumatori. Per operare le proprie scelte (acquisti…) la famiglia necessita di un reddito, che proviene da un lavoro e da rendite. La parte di reddito non spesa nei consumi costituisce il risparmio familiare. Il risparmio ha due principali finalità: far fronte alle emergenze (salute, casa…) e ad altre spese future programmate (terreni, case, reddito futuro…). La propensione al risparmio delle famiglie definisce la capacità delle famiglie di mettere da parte dei risparmi. È in aumento il numero di famiglie che addirittura si indebitano (mutui, prestiti, rate…).
Se le famiglie costituiscono nel sistema economico il lato della domanda, sul lato dell’offerta (di beni e servizi) troviamo le imprese.
Le imprese possono essere società di persone (il rischio è riferito ai possessori) oppure società di capitali (il rischio resta sull’impresa). Le imprese possono essere private o pubbliche (quando appartengono alla Pubblica Amministrazione). Dal punto di vista dello scopo, oltre alle imprese a scopo di lucro, abbiamo le imprese cooperative (che operano per il vantaggio dei soci) e le imprese no profit (che operano per un interesse sociale).
Anche l’attività svolta e la dimensione distinguono le imprese: ci sono quelle che producono beni e quelle che si occupano di servizi. Ci sono grandi, piccole e medie imprese a seconda della loro dimensione, localizzazione e numero di dipendenti (grandi: sopra i 250 dipendenti; piccole sotto i 50; medie: tra 50 e 250).
In Italia le grandi imprese son poco più di tremila e si trovano al nord. La stragrande maggioranza delle imprese italiane sono piccole o medie. In molte aree geografiche sono nati, per coordinare le piccole e medie imprese, i distretti che sono una caratteristica tipica dell’Italia.

Lo Stato

Tramite le tasse, lo Stato ottiene delle entrate che vengono utilizzate per far fronte a delle spese pubbliche costituite da servizi al cittadino: la sanità, la difesa del territorio, la tutela del patrimonio culturale… Lo Stato ha entrate proporzionali alla ricchezza dei suoi cittadini. Ma anche lo Stato stesso contribuisce alla ricchezza dei suoi cittadini: esso è l’organizzatore di tutto ciò che non avrebbe senso fosse organizzato dai singoli.
l ruolo dello Stato oggi è di gran lunga più ampio di quello dell’antichità e dell’età preindustriale. Con l’enorme aumento di produttività della seconda rivoluzione industriale e con il conseguente aumento delle entrate pubbliche, lo Stato ha cominciato ad operare per la cura del territorio e di altre attività. Infine lo Stato garantisce le norme per la produzione e per i rapporti economici.

I rapporti economici internazionali

Per molti anni gli Stati hanno favorito le esportazioni e limitato le importazioni ponendo dazi alle merci in entrata. Con l’avvento del WTO nel 1995 (si veda la voce su wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_Mondiale_del_Commercio), gli scambi commerciali sono improntati a regole comuni da applicare, evitando dazi alle merci in entrata. Tuttavia alcune limitazioni sono applicate ancora dagli Stati. Anche i capitali vengono scambiati come le merci: la globalizzazione è il fenomeno per cui la produzione e distribuzione di beni, ricchezze e finanze coinvolge ogni parte del mondo, anche se non in forma eguale od omogenea.

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2008 - La crisi del credito

La crisi che è scoppiata negli Stati Uniti nel 2008 e ha successivamente investito l’Europa dipende dalla crisi dei mutui cosidetti “sub-prime”, a sua volta connessa con varie forme di “finanza creativa” posta in essere da alcune banche. Come in un film, mettiamo con ordine i personaggi e le scene sul tavolo, comprendendo il funzionamento di ciascun personaggio e vedendo poi come è stato girato il film, chi ha perso, chi ha vinto e chi non ha perso.

Strumenti e personaggi in gioco

  • Mutui sub-prime.

    Fino ai primi anni 2000, una famiglia che volesse accendere un mutuo per acquistare la propria casa doveva poter garantire l’Istituto creditore (cioè colui che in un certo senso acquistava la casa per conto della famiglia) di poter far fede al debito contratto restituendo il finanziamento attraverso le rate pattuite. L’Istituto creditore si poteva ragionevolmente fidare di una famiglia in cui padre e madre avessero uno stipendio fisso e qualcun altro potesse in qualche modo garantire per loro di avere un retroterra su cui potersi rivalere. Una famiglia affidabile era considerata di “serie A”, in gergo “prime”. Per qualche motivo – che scopriremo più avanti – ad un certo punto alcuni Istituti creditori hanno trovato redditizio vendere mutui a famiglie meno affidabili, di “serie B”, in gergo “sub-prime”.
  • Collateralised Debt Obligations (CDO).

    Una delle forme espressive di creatività della finanza consiste nell’assemblare prodotti finanziari diversi (cioè azioni, titoli…) e venderli in pacchetti aventi tassi di interesse diversi, direttamente proporzionali al rischio di perdita: una specie di gioco d’azzardo. Chi vuole rischiare poco, sceglie prodotti più sicuri che però verranno anche meno ricompensati. Chi proprio non vuole rischiare paga addirittura una specie di garanzia (Credit Default Swaps – CDS).
  • Le Famiglie, i Creditori, il Sistema finanziario.

    Un mutuo costituisce il punto di raccordo tra una famiglia che desidera una casa e dei creditori che offrono il proprio denaro diventando investitori (cioè imprestando il denaro nella speranza che troni indietro con gli interessi). Su larga scala, i due gruppi costituiti da famiglie e creditori vengono messi in contatto da un terzo gruppo costituito da banche e broker (il Sistema finanziario). Notiamo che il gruppo dei creditori, su larga scala, è costituito da Fondi pensioni, Compagnie assicuratrici, Fondi sovrani, ecc. Dietro a queste istituzioni ci sono quindi “creditori” molto differenti tra loro: grandi aziende, persone fisiche, Stati, singoli risparmiatori o categorie di risparmiatori.

La sceneggiatura del film

  • Prima scena. L’investimento secondo il metodo tradizionale

    Anni fa gli investitori possedevano molto denaro e andavano alla ricerca di un buon investimento per ottenere maggior denaro. Il gioco funzionava più o meno così. Di solito si rivolgevano alla Banca Centrale (negli Stati Uniti si chiama Federal Reserve, in gergo FED) per imprestare soldi allo Stato acquistando Titoli di Stato: un investimento sicuro con un buon interesse. Poi facevano gli affari più o meno in questo modo. Investivano il proprio denaro comprando, ad esempio, una scatola a 10.000 $ rivendendola a 11.000 $ e guadagnando 1.000 $: un buon guadagno.
  • Seconda scena. L’investimento secondo il metodo moderno

    Ma alla vigilia della crisi il presidente della FED, Alan Greespan, abbassò i tassi di interesse all’1%, per mantenere forte l’economia. Questo significava che non era più conveniente imprestare soldi allo Stato ed era molto meglio tentare altre strade. D’altro canto la FED impresta soldi allo stesso tasso di interesse dell’1%: questo rende molto facile chiedere un prestito. Il risultato finale è che c’è sul mercato una grande abbondanza di soldi liquidi, cioè di credito a buon mercato pronto per essere investito. Ecco che le banche fanno qui uso della Leva finanziaria (in gergo “leverage”). Il gioco funziona così. Un investitore che possiede 10.000 $ va e chiede in prestito 990.000 $ per avere così 1 milione di dollari. Poi con questo milione compra 100 scatole e le rivende a qualcun altro per 1.100.000 $. Poi restituisce i 990.000 $ più 10.000 $ di interesse e, alla fine, oltre ai suoi 10.000 $ iniziali, questo investitore moderno si tiene 90.000 $ di guadagno: molto di più dell’affare da 1.000 $ dell’investitore tradizionale. Il Leverage trasforma così un buon affare in un affare grandioso. Questo è oggi il metodo più diffuso dalle banche di fare soldi.
  • Terza scena. Una casa per tutti: i mutui prime

    Possedere grandi quantità di credito fa venire in mente alle banche un’idea: mettere in contatto gli investitori con le famiglie che desiderano una casa attraverso lo strumento dei Mutui. Ecco come funziona. Una famiglia vuole la casa. Così si rivolge a un mediatore che le propone un mutuo: cerca un investitore che presti denaro per comprare tutta la casa. Il mediatore guadagna la sua parte. Poi la famiglia pian piano restituirà i soldi all’investitore. Tutto questo va molto bene per tutti. Anche per la famiglia perché la casa continuerà nel tempo a crescere di valore. Negli Stati Uniti questa compra-vendita viene anche sostenuta dal Governo, che propone politiche come “Una casa per tutti”.
  • Quarta scena. Le banche, il Leverage e i CDO

    Ma un giorno l’investitore che possiede il mutuo sulla casa riceve una telefonata da una banca che vuole comprare il mutuo offrendogli naturalmente un valore ancora più alto. La banca fa la stessa cosa per centinaia di volte e mette insieme questi mutui acquistati, in una stessa scatola. Ogni mese riceverà gli interessi che vengono versati dalle famiglie.Ma a questo punto il banchiere si trasforma in un mago e compie un’operazione di finanza creativa. Divide la scatola che viene assemblata (denominata CDO) in tre diversi scompartimenti: sicuro, ok e a rischio. Ma la scatola viene venduta compatta. Tutto bene, finché le sezione sicura e ok riescono anche a coprire le eventuali perdite della sezione a rischio. Ma siccome i soldi arrivano dalle famiglie, se qualcuna – o molte – cominciano a non pagare, allora la sezione a rischio comincerà a rimanere senza copertura. Per garantire un miglior rendimento, la sezione a rischio viene venduta con un interesse del 10%, quella ok al 7% e quella sicura al 4% (ma poi le banche a quest’ultima addebitano uno SWAP che fa scendere il rendimento al 3%). Le agenzie di rating attribuiscono alla sezione sicura il rating AAA, a quella ok BBB e a quella a rischio nessun rating. Così le banche possono vendere la sezione AAA agli investitori che non voglio correre rischi, quella BBB ad investitori che si assumono qualche ragionevole rischio a fronte di un buon guadagno e la sezione a rischio a investitori senza scrupoli. In questo modo la banca guadagna milioni. Ma anche gli investitori sono molto soddisfatti perché guadagnano molto di più dell’1% promesso dalla Federal reserve. Così gli investitori chiedono ancora altri mutui da comprare. Ma a un certo punto i mutui finiscono perché tutte le famiglie hanno già una casa.
  • Quinta scena. La grande idea dei mutui sub-prime

    A questo punto ecco l’idea. Se le famiglie non riescono a pagare il mutuo la banca può pignorare la casa e rivenderla a un prezzo più alto. Allora diventa interessante per la banca vendere le case proprio alle famiglie inaffidabili (non prime ma subprime): così potrà pignorarle e rivenderle guadagnando due volte. Questo è il punto di svolta! Quando si vende il mutuo a qualcun altro si fanno milioni e si trasferisce il problema (cioè il fatto che magari la famiglia non pagherà la quota mensile) a qualcun altro, facendo il gioco della patata bollente. E si è andati avanti così per anni. Ma tutto questo costituisce una bomba ad orologeria. Vediamo come. In una prima fase i guadagni aumentarono ulteriormente proprio perché le famiglie subprime andarono in bancarotta: in quel mese la Banca invece di una rata del mutuo si ritrovava come introito l’intera abitazione da poter rivendere. Così aumentarono anche sul mercato i mutui. Ma in una seconda fase, quando i fallimenti divennero troppi, ci furono troppe case in vendita che cominciarono a non essere più comprate da nessuno, così, essendoci più offerta che domanda, i prezzi cominciarono a scendere. E i guadagni diminuirono. In una terza fase, accelerata, persino le famiglie Prime smisero di pagare il loro mutuo: infatti perché continuare a pagare per una casa che un tempo valeva 300.000 dollari ma oggi vale solo più 90.000?
  • Sesta scena. La bancarotta: le banche, gli investitori e le famiglie

    A questo punto le banche possiedono scatole piene di case che nessuno vuole più, che nessun investitore intende più comprare. E in più quella scatola le banche l’hanno comprata per milioni che non possono più restituire, visto che non riescono a venderla. E se qualche creditore comincia a chiedere il conto alle banche, queste non potendo più pagare vanno in bancarotta. A loro volta anche gli investitori possiedono scatole che le banche non vogliono più comprare. I primi a saltare sono i Mediatori perché non hanno più lavoro: nessuno che vende e nessuno che compra. Così il mercato si congela.La scena finale: la banca chiama la famiglia prime e le dice che i suoi investimenti sono ormai senza valore perché il valore delle case è crollato e con esso il credito delle famiglie.

La crisi si diffonde

A seguito della bancarotta di alcuni Istituti di credito americani vengono aperte inchieste che, di fatto, non modificano a tutt’oggi le cause della crisi, prima fra tutte la possibilità per gli Istituti di credito di operare contemporaneamente sull’economia reale (a supporto di famiglie e imprese reali) e sulla speculazione (giocando d’azzardo). Anche alcuni personaggi chiave della crisi sono rimasti saldamente ai loro posti o, nel peggiore dei casi, sono stati estromessi dalla scena ma senza pagare un solo centesimo per i propri errori o colpe. Tutto questo è magistralmente raccontato nel Film di Charles Ferguson “Inside job”, premio Oscar 2010: un film da vedere per comprendere lo sfondo e le figure del dramma.
Nel frattempo – e qui usciamo dalla storia ed entriamo nella cronaca – la crisi si diffonde ed attacca i Titoli sovrani in Europa: Grecia, Spagna, Italia. Top

Attività di gruppo

  1. Crisis of credit. Vedete il cartone animato http://www.crisisofcredit.com/ (circa 11 minuti): provate a tradurlo in italiano, poi provate a dire quali sono i passaggi chiave – visualizzati con il simbolo della lampadina – che hanno consentito di giungere alla crisi.
  2. Inside Job. Vedete il documentario Inside Job (circa 90 minuti) e provate a disporre su un tavolo le pedine dell’enorme campo di gioco (banche, investitori, agenzie di rating, governo, economisti, famiglie…): chi ha sbagliato? Chi ci ha guadagnato? Chi ha perso? Cosa è cambiato?
  3. Il gioco degli scambi commerciali. È possibile provare il gioco di simulazione proposto nel libro Giochi di simulazione (Elledici, 1990, pp. 23-29): Il gioco degli scambi commerciali. Esso si muove ancora nella logica del capitalismo 1.0 ma permette di affrontare il tema del commercio e il ruolo dei Paesi ricchi e di quelli poveri, immedesimandosi nelle situazioni invece che soltanto sentendone parlare. È possibile trovare i materiali del gioco sul sito dell’organizzazione inglese che lo ha creato: nella sezione dedicata agli insegnanti (http://learn.christianaid.org.uk/) ci sono molti materiali. Qui segnaliamo in particolare il link al gioco in questione, dove si trova l’introduzione al gioco e tutte le schede necessarie: http://learn.christianaid.org.uk/YouthLeaderResources/trading_game.aspx (si veda la nostra scheda di traduzione).
  4. Credit War 3.0. Si può pensare ad un nuovo gioco da tavolo che simuli la situazione verificatasi con la crisi dei mutui sub-prime e offra spunti per simulare possibili uscite verso un nuovo sistema 3.0.
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