La decrescita: un'alternativa allo sviluppo

Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la permanenza di una vita autenticamente umana sulla terra
Hans Jonas, Il principio responsabilità, 1979, p. 15

I valori legati allo sviluppo e al progresso sono strettamente connessi alla storia dell’Occidente e, probabilmente, non hanno alcun senso per altre società. Lo sviluppo si attua attraverso il controllo e il dominio delle risorse naturali, cosa impensabile e proibita in molte culture. Oggi, grazie alla “mondializzazione del pensiero”, lo sviluppo è diventato un concetto familiare anche in quelle aree geografiche che vi erano completamente estranee.

Serge Latouche, nel suo libro “Come sopravvivere allo sviluppo” e in altri scritti successivi, propone un modello alternativo, che chiama “decrescita”. Con questo concetto non vuole intendere un ritorno ad un’economia pre-industriale, ma piuttosto la ricerca di una buona qualità della vita che non sia pregiudizievole per l’ambiente e i legami sociali. Poiché i termini di definizione di “buona qualità della vita” sono diversi a seconda dei popoli e delle aree geografiche, Latouche prospetta la realizzazione di forme e modalità diverse per il Nord e il Sud del mondo.

L’obiettivo della decrescita è fondamentalmente l’abbandono “del perseguimento insensato della crescita per la crescita, il cui motore è soltanto la crescita sfrenata del profitto da parte dei detentori del capitale” (Come sopravvivere allo sviluppo, di S. Latouche, Bollati Boringhieri, 2005, p. 81). Questo non significa rincorrere una crescita negativa, sarebbe altrimenti un disastro in termini di occupazione, servizi sociali e offerte culturali. L’intera organizzazione sociale dovrebbe cambiare: “si tratta di mettere in discussione il volume esagerato degli spostamenti di uomini e merci sul pianeta, con il relativo impatto negativo sull’ambiente, la pubblicità ossessiva e a volte nefasta, e infine l’obsolescenza esagerata dei prodotti, concepiti col sistema usa e getta soltanto per far girare sempre più velocemente la megamacchina infernale” (Come sopravvivere allo sviluppo, di S. Latouche, Bollati Boringhieri, 2005, p. 80).

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La proposta di Latouche parte da una generale riflessione sulle culture tradizionali, per le quali la felicità si realizzava attraverso il soddisfacimento di un numero limitato di bisogni. L’evoluzione di tali società si adeguava alle limitazioni naturali dell’area geografica in cui risiedeva. Mentre tali società adattavano se stesse alla natura, le società attuali pretendono di adattare la natura a se stesse. Questo modello di economia comporta una rinuncia al modello di comportamento consumistico e richiede oltre a una maggiore sobrietà nei consumi, anche una riorganizzazione dei valori su cui si basa la nostra vita (questo significa mettere in discussione il dominio dell’economia e del denaro sulla vita), realizzare una maggiore equità sociale e ridurre l’inquinamento. È ovvio che per avviare questo nuovo modello di economia occorre in primo luogo agire sulle coscienze, diffondere le nuove idee, perché una simile trasformazione dei rapporti socio-economici parte da una trasformazione della mentalità.

In Europa stanno iniziando a fiorire associazioni e cooperative che promuovono, ognuna a loro modo e in settori specifici, un nuovo tipo di economia, si tratta ad esempio delle banche del tempo, delle banche etiche, dei comitati di quartiere, degli asili parentali, dei neoagricoltori, del commercio equosolidale. Purtroppo sono fenomeni che rimangono confinati in una nicchia della società, se non inglobati e strumentalizzati da enti pubblici o dalle imprese, mentre si auspica che questi esempi possano allargare la loro influenza e coinvolgere la società intera. Il consumatore è l’elemento chiave di questa radicale trasformazione.