Il Gigante Egoista

Economia

Dopo la grande crisi del 1929, la sicurezza in un progresso economico inarrestabile subì un duro colpo, dal quale non si riprese più. Il sistema capitalistico mostrò le sue debolezze. Con il crollo dell’Unione sovietica, intorno agli anni Novanta, fu il comunismo a dimostrare l’impossibilità di un sistema economico equo e stabile. Nella società contemporanea si fa ora avanti l’idea di globalizzazione, una crescente integrazione fra le parti del globo. La multinazionale è un’organizzazione industriale che possiamo prendere ad emblema della globalizzazione economica. La nostra società è passata nel giro di poco più di un secolo da un sistema chiuso, ordinato e gerarchico, ad un sistema aperto, integrato e democratico. Se il primo sistema era piuttosto stabile al suo interno, il secondo è mutevole, ogni parte esercita un’influenza più o meno grande sulle altre e sul sistema nel suo complesso. La crisi di una multinazionale, come la Parmalat, può causare un duro colpo non soltanto per migliaia di risparmiatori che avevano investito in azioni e obbligazioni, ma anche per il Paese nel suo complesso.
Perdendo ogni certezza e sicurezza, oggi le persone avvertono con timore termini come: “transazioni finanziarie”, “cessioni societarie”, ecc. Ad ogni crisi i giornali pubblicano sulle prime pagine titoli nefasti a lettere cubitali. Di seguito si vuole ricordare quella che è stata l’antecedente di tutte le crisi economiche, quella del 1929, inoltre si fa riferimento ad alcune paure e timori che riguardano la globalizzazione.

La crisi del 1929
Negli anni precedenti il 1929, la borsa di New York aveva registrato aumenti sorprendenti, finché all’inizio di ottobre di quell’anno iniziò un’inarrestabile discesa. Il 24 ottobre 1929, giorno che passò alla storia come il “giovedì nero”, la borsa toccò il primo minimo, il panico si diffuse tra gli azionisti e i risparmiatori. Tutti cominciarono a disfarsi delle proprie azioni, sperando di contenere le perdite. La vendita in massa di azioni provocò il 29 ottobre, il “martedì nero”, un secondo crollo al quale seguì una seconda e più intensa ondata di panico: in questa giornata furono vendute a prezzi stracciati più di 16 milioni di azioni, un record assoluto nella storia della borsa, la perdita ammontò a 26 miliardi di dollari. La crisi si propagò rapidamente nel settore produttivo e in quello bancario, provocando una gravissima recessione: nei tre anni che seguirono la produzione industriale statunitense diminuì di circa la metà rispetto all’anno precedente, gli investimenti crollarono letteralmente (in alcune aziende non ci furono soldi per rinnovare i macchinari ormai inutilizzabili), moltissime banche chiusero dopo aver perso i risparmi di milioni di persone, i fallimenti commerciali e industriali si moltiplicarono contribuendo ad un innalzamento del tasso di disoccupazione che non aveva confronti.
La crisi dagli Stati Uniti si comunicò a livello mondiale sul filo degli scambi commerciali. Tra il 1929 e il 1932 gli investimenti nel mondo diminuirono sempre di più. Il volume degli scambi internazionali si riduceva causando un processo a spirale che si autoalimentava: minori erano le merci scambiate, minore era la valuta pregiata che i singoli paesi potevano impiegare per acquistare all’estero. Gli effetti della crisi si manifestarono in maniera più grave in paesi, come la Germania, che dipendevano fortemente dall’economia statunitense. La Germania vide la produzione industriale ridursi del 40%, 3 milioni e mezzo di persone si ritrovarono disoccupate, il reddito nazionale calò del 39%. Il sistema bancario e industriale tedesco dipendevano in larga misura dai prestiti e dai finanziamenti statunitensi, che resero possibile, verso la metà degli anni Venti, la stabilizzazione del marco. Gli effetti della crisi furono catastrofici. In Francia e in Gran Bretagna l’impatto della crisi fu più lieve, da una parte perché entrambe potevano contare su un vasto impero coloniale, dall’altra perché il proprio sistema bancario era relativamente indipendente dalla finanza americana. Inoltre occorre sottolineare che l’economia francese e, ancor di più, quella inglese si trovavano ormai da alcuni anni in uno stato economico recessivo a causa dello sforzo bellico che la prima guerra mondiale aveva richiesto; la crisi pertanto non si manifestò in maniera così clamorosa. L’Unione Sovietica godeva negli stessi anni di uno sviluppo economico senza precedenti, grazie ad una politica di industrializzazione massiccia del paese e all’isolamento dall’economia mondiale.
L’economista J. K. Galbraith individua cinque punti di debolezza dell’economia americana:
1. un’eccessiva disuguaglianza nella distribuzione del reddito: una ristretta fascia disponeva di redditi elevati, la massa dei cittadini aveva invece salari che si mantenevano su un livello medio-basso;
2. la struttura delle aziende industriali e finanziarie privilegiavano un’attività speculativa eccessiva, che ostacolava un corretto sviluppo economico;
3. il sistema bancario era eccessivamente frammentato, non vi era un organismo centrale, questo lo rendeva anche più vulnerabile;
4. il volume dei prestiti diretti verso l’estero era eccessivo e caratterizzato da finalità prettamente speculative;
5. le teorie economiche dell’epoca ritenevano indispensabile raggiungere comunque un pareggio del bilancio (costi-ricavi) e deprecabile ogni intervento da parte dello Stato.
L’incredibile sviluppo economico degli anni precedenti era dovuto soprattutto al fatto che, pur aumentando la produttività, i salari erano rimasti stabili, di conseguenza i prezzi rimanevano costanti e le aziende tendevano così ad investire, aumentando di nuovo la produttività. Alla base di questo sistema c’era una contraddizione insanabile: l’aumento della produttività portava a un progressivo accrescimento della produzione, ma il potere d’acquisto della popolazione si manteneva su un livello medio-basso. Inizialmente i bassi tassi di interesse spingevano ad acquistare grazie a prestiti, mutui e pagamenti rateali. Nel lungo periodo però il ridotto potere d’acquisto delle masse costituì un limite allo sviluppo. Un’altra contraddizione riguardava il sistema finanziario: non vi erano organismi centrali che correggessero eventuali eccessi e vizi del sistema. L’attività speculativa veniva premiata con il risultato che i prezzi delle azioni si gonfiarono a dismisura rispetto al loro valore reale. Fu la media borghesia a farne le spese, uno strato che aveva sostenuto maggiormente la domanda di generi di consumo durevoli e aveva investito tutti i risparmi in borsa. La media borghesia si era effettivamente rivelata il motore dello sviluppo ed ora ne pagava lo scotto. La disoccupazione aumentò drasticamente, i salari diminuirono ancor più, i consumi precipitarono. Quando la borsa crollò e il panico si diffuse tra i risparmiatori, una massa incredibile di persone si precipitò in banca a ritirare i propri risparmi, questo provocò la mancanza di liquidità per investimenti nella ripresa, e, quindi, il fallimento di molte banche e imprese causando un effetto a catena che trasmise la crisi anche in settori meno esposti.

La crisi del Welfare State
Con il termine Welfare state si vuole indicare il concetto di Stato sociale: riguarda il carattere ideale di uno Stato democratico e fa riferimento a un insieme di diritti, alla salute, all’istruzione, all’abitazione e la garanzia di un livello di reddito minimo. Il Welfare state prevede che sia formulata una politica attiva di interventismo in economia, finalizzata allo sviluppo e alla crescita. Alcuni sostengono che il Welfare state nasce nel 1942, quando il Parlamento inglese approvò la predisposizione di un sistema sanitario nazionale gratuito e un sistema pensionistico. Non bisogna intendere il Welfare state come un insieme di misure di assistenzialismo nei confronti di strati sociali meno agiati, piuttosto riguarda quella condizione di essere di uno stato in cui lo sviluppo economico viene promosso e incentivato nel rispetto di un livello minimo di benessere per tutti i cittadini, in modo da evitare distorsioni e contraddizioni che possano causare crisi, come quella del 1929.
Negli anni Settanta la struttura che sostiene il Welfare state inizia ad entrare in crisi, esistono diverse interpretazioni delle motivazioni alla base di questo processo: da una parte si porta in causa la diffusione di una cultura assistenzialista che ha saturato le risorse dello Stato; dall’altra si ritiene che lo Stato abbia perso il suo ruolo di mediazione tra potenti organizzazioni sociali che ha portato a una distorsione del sistema democratico (ingerenza dei partiti politici nella cura dell’amministrazione statale, preferenza del provvedimento mirato alla legge astratta, nascita di forme atipiche di partecipazione politica); dall’altra si sostiene che una burocrazia complessa abbia causato lentezze e disuguaglianze: politiche assistenziali viziate che premiano i non bisognosi, spese sociali eccessive, sperpero di denaro pubblico, ecc.
Il Welfare State si fonda sul concetto di parità delle parti sociali, ma può funzionare se evolve e si modifica, adattandosi alle reali condizioni di vita e di lavoro delle persone. Facciamo un esempio: il sistema pensionistico prevede che l’assistenza agli anziani gravi sui giovani. Questo sistema era stato concepito in Italia, quando il paese attraversava un periodo di eccezionale sviluppo economico. Oggi il lavoro dipendente, con le garanzie che questa tipologia di lavoro prevede, sta diminuendo sempre più, il numero degli anziani è in aumento e il tasso di disoccupazione in crescita. In tali condizioni il mantenimento dello Stato sociale impone sacrifici eccessivi per i giovani, che non hanno la garanzia di poter usufruire in futuro degli stessi benefici.
Un altro elemento di distorsione riguarda l’evasione fiscale: i servizi prestati dallo Stato sociale vengono distribuiti sulla base del reddito dichiarato, nel momento in cui gli evasori dichiarano un reddito inferiore a quello reale possono godere di servizi di cui non avrebbero diritto. Il risultato di un tale comportamento è l’innalzamento della spesa sociale e, quindi, il mantenimento di un’elevata pressione fiscale su tutti. La minore entrata fiscale causa l’impossibilità di fornire servizi adeguati a chi veramente ne ha bisogno.
Un altro fattore di crisi viene dal fenomeno della globalizzazione dei mercati: i paesi europei sono ora obbligati a confrontarsi con economie che non prevedono alcuna forma di protezione sociale e, quindi, sono caratterizzate da un costo del lavoro molto più basso.
Si rende, quindi urgente, una riforma dello Stato sociale che punti a una riorganizzazione della gestione statale, basandosi sui principi di efficienza, economicità ed equità, preservando i diritti dei più deboli. Oggi si stanno diffondendo organizzazioni non profit, a cui vengono delegate alcune competenze dello Stato sociale, è importante comunque che lo Stato si occupi di orientare e controllare le attività per evitare che vengano forniti servizi scadenti, insufficienti e insicuri

Proposte di lavoro:

- Abbiamo considerato il concetto di paura nell’ambito economico connesso con la perdita di garanzie e sicurezze sulla propria condizione presente e futura. Quali paure possono scaturire dall’affermazione del fenomeno della globalizzazione?

- In Italia negli ultimi anni si sono verificate alcune crisi, come la crisi economica argentina, il caso Cirio e il caso Parmalat, che hanno provocato gravi perdite per milioni di risparmiatori. Come sono state comunicate dai giornali italiani le paure di chi vedeva annullati i propri investimenti? Quali sono state le risposte delle autorità?