Pirandello e il fascimo

pirandello e il fascismo

Pirandello e il Fascimo

Pirandello ha avuto un rapporto controverso con il Fascismo.
Nel 1914 il giornalista Benito Mussolini fonda il movimento del “Fascio d’azione rivoluzionario”, basato su alcune correnti politiche favorevoli all’intervento dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Il Fascismo si instaurò il 31 ottobre 1922 in seguito alla marcia su Roma e terminò il 25 luglio 1943.
Si definisce tale periodo come “Il Ventennio fascista”.
Luigi Pirandello visse il Fascismo da quando aveva 55 anni fino alla data della sua morte nel 1936, dunque per un periodo di quattordici anni.
Pirandello non aveva mai preso specifiche posizioni politiche.
L’idea politica di fondo di Pirandello era legata principalmente al patriottismo risorgimentale della sua famiglia.
Quando le sue opere cominciano ad avere risonanza internazionale viene ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi: è il 28 ottobre 1923.
Con astuzia Mussolini gratificherà lo scrittore Pirandello convocandolo poi più volte nel suo studio: voleva sfruttare la fama mondiale di Pirandello e lusingare le speranze di Pirandello di ricevere aiuto per i suoi progetti.

Adesione al Fascismo

Dopo questi incontri Pirandello chiese l’iscrizione al Partito Fascista il 17 settembre 1924.
Volle che la sua adesione al Partito fascista fosse pubblica e solenne ed inviò ai giornali un suo telegramma aperto alla stampa, indirizzato a Mussolini: “Sento che è questo il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio, se l’Eccellenza vostra mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregherò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario”.
L’iscrizione di Pirandello al Partito fascista fu inaspettata e molto criticata.
Avvenne pochi gioni dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, in un momento in cui il fascismo era indebolito di fronte all’opinione pubblica.
Fu insolita anche perché Pirandello era sempre stato lontano dalla politica e aveva sempre mostrato distacco dalla politica, forse per prudenza oppure per un autentico disinteresse suo.
La stampa suggerì la possibilità che Pirandello avesse preso la tessera del partito per dare una svolta alla propria carriera per acchiapparsi quella celebrità che per troppi anni gli era stata negata. Fu duramente attaccato da alcuni intellettuali e politici italiani, fra cui il deputato liberale Giovanni Amendola che in un articolo dava dell’accattone a Pirandello, accusandolo di cercare finanziamenti.

Il Teatro d’Arte

L’iscrizione di Pirandello al Partito Fascista non fu semplice opportunismo.
Pirandello offrì il suo sostegno perché senza dubbio si augurava una stagione nemo corrotta nella politica italiana e vedeva in Mussolini una soluzione da appoggiare.
Il drammaturgo continuò a lungo a vivere nell’illusione che Mussolini avrebbe realizzato il suo progetto di Teatro di Stato.
Ma il Duce non nascondeva le sue preferenze teatrali per Giovacchino Forzano.
Tuttavia, nel 1924, Pirandello ricevette il finanziamento per creare una compagnia teatrale a Roma, dalla quale fu per tre anni il direttore artistico e capocomico.
Ma nel 1928, quattro anni dopo la fondazione, il suo Teatro d’Arte fu sciolto, in tacita polemica con il regime fascista che ad avviso di Pirandello era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali.
Forse, a parziale rimedio per il mancato sostegno del regime fascista, Pirandello fu nominato da Mussolini nel 1929 uno dei primi 30 accademici, della neo costituita Reale Accademia d’Italia.

La satira

Il giornale umoristico “Il becco giallo” decise di chiamare Pirandello sempre “P. Randello”.
Cominciò ad attaccare il drammaturgo con vignette satiriche.
In un disegno del 21 settembre 1924 presentò Pirandello in un corteo di questuanti che sfilavano sotto le finestre del Senato da cui si affacciò Mussolini in compagnia di vari illustri personaggi dell’epoca come il compositore Puccini e Ruggero Leoncavallo, il noto compositore e librettista, autore di opere liriche come: Pagliacci, La Bohème e Vesti la Giubba.
In un’altra vediamo Mussolini che redarguisce Pirandello: “Adesso giovinetto, smetti di scrivere fesserie e fatti onore!”

pirandello e il fascismo

Il manifesto degli intelletuali fascisti

Nel 1925, Pirandello fu tra i firmatari del manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile, ma l’adesione di Pirandello al Fascismo fu per molti imprevista e sorprese anche i suoi più stretti amici.
In questa fase il drammaturgo subisce ha fiducia nel Duce, mentre disprezza i gerarchi che giudica rozzi e inacapaci di capire l’arte.
La sua adesione al Partito fascista era motivata da una profonda sfiducia nei regimi socialdemocratici che, sin da inizio Novecento, si sostituivano a alle democrazie liberali senza debellare la corruzione.
Pirandello provava un deciso disprezzo per la classe politica del tempo e nutriva sfiducia verso “la massa caotica del popolo”, che andava, secondo lui, istruita e guidata da una sorte di “monarca illuminato”.
In questa ottica il Duce poteva diventare il riorganizzatore di una società in disfacimento e ormai completamente disordinata.

Ideali risorgimentali

Un’altro elemento è certamente il sostegno che il fascismo ha dato a quelli ideali patriottici e risorgimentali dei quali lui era un convinto sostenitore, anche per le radice garibaldina del padre. Secondo questa tesi, Pirandello vedeva nel Fascismo la prima idea originale post-risorgimentale che doveva rappresentare “la forma nuova” dell’Italia destinata a divenire modello per l’Europa.
Questa speranza che Pirandello credeva di vedere nel nuovo partito fascista, può apparire un punto di contatto tra Pirandello e il Regime fascista.
Chiaramente Mussolini ed i fascisti usavano questi ideali per mera propaganda.

La follia fascista

Dopo l’ingresso spettacolare di Pirandello nel Fascismo, seguì una scarsa partecipazione effettiva alle vicende del partito e il suo rapporto con il regime e i suoi uomini si guastò assai presto e generando delusioni e risentimenti.
Ben presto si accorse della follia fascista e realizzò che questa follia avrebbe poi portato allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Pirandello aveva una sua opinione personale della guerra.
Quando il suo figlio Stefano tornò dal servizio militare nella Prima Guerra Mondiale (1914-1918) Pirandello sosteneva che una grande guerra non è tale perché nessuna grande idealità la muove e la sostiene.
Pirandello diceva: “Si tratta invece di una guerra atrocissima” che riempì di orrore il mondo intero e tra mille anni sarà ristretta in poche righe nella grande storia degli uomini.”

Pirandello e la censura

Il fascismo ha influenzato la produzione letteraria con il controllo del Ministero della cultura popolare.
Non ci fu libertà di stampa perché il governo fascista voleva controllare la pubblica opinione.
I funzionari del Ministero dovevano leggere preventivamente ogni opera letteraria prima di autorizzarne la pubblicazione.
Ma Pirandello non si lasciò influenzare dalla censura del Governo fascista e fu sempre lontano da un compromesso con il governo fascista e per lui fu inutile la propaganda del regime.
La presa di distanza di Pirandello dalla censura della libertà di stampa, imposta dal governo fascista, non era gradito da Mussolini che mostrò irritazione per il fatto che Pirandello continuava a negare “un opera fascista” come atto di fede al fascismo.
Si potrebbe dunque molto obiettare sull’effettivo fascismo di Pirandello anche perché i rapporti di Pirandello con il regime fascista non furono mai lineari e diretti e le sue opere teatrali di quei tempi svolgevano un ruolo destabilizzante per il Fascismo.
Furono frequenti i scontri violenti di Pirandello con le autorità fasciste e le sue dichiarazioni aperte di apoliticità: “Sono apolitico – mi sento soltanto uomo sulla terra, e come tale, molto semplice e parco; se vuole potrei aggiungere casto …..”
Nel 1927, fu clamoroso il gesto in cui Pirandello strappò la sua tessera del partito fascista davanti agli occhi esterrefatti del Segretario Nazionale.
Nonostante ciò non ci fu mai una rottura esplicita.
Anzi, quello stesso anno, sul quotidiano L’Impero, del 12 marzo 1927, apparve un’intervista a Pirandello nella quale diceva: “Mussolini non trova paragoni nella storia; mai esistito un condottiero che abbia saputo dare al suo popolo una cosi viva impronta della sua personalità”.

Pirandello antisistema

Il contenuto anarchico, corrosivo, pessimista e quasi sempre anti-sistema delle opere pirandelliane era guardato con sospetto da molti intellettuali e uomini politici del Partito Nazionale Fascista.
Il fascismo formalmente condannava le opere di Pirandello come corrotte e decadenti.
I personaggi dei drammi borghesi pirandelliani erano considerati dal regime quanto di più lontano dall’attivismo fascista.
Anche dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, parecchie opere di Pirandello furono accusate di “disfattismo” dalla stampa del regime fascista.
Il drammaturgo fini tra “i controllati speciali dell’OVRA”.
Nei suoi ultimi anni di viaggi, Pirandello andò in Francia e negli Stati Uniti, quasi in un volontario esilio dal clima culturale italiano di quegli anni.
Nonostante gli elogi fatti da Pirandello a Mussolini, il Duce fece sequestrare a Pirandello l’opera: “La favola del figlio cambiato”, per alcune scene ritenute non consone al regime fascista e fu impedito fare delle repliche dello spettacolo teatrale.

Morte

Alla morte di Pirandello il 10 dicembre 1936, il regime fascista avrebbe voluto esequie di Stato.
Ma vennero rispettate dal regime le sue volontà espresse nel testamento scritto nel 1911: “Carro funebre d’infima classe, quello usato per i poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Solo il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi”

Per approfondire: Studii Pirandelliani

(SFA, “Storia del Teatro” – Relazione a cura di Fabrizio Merlo)

Fabrizio Merlo

Related Posts

Leave a Reply

×

Hello!

Click one of our contacts below to chat on WhatsApp

× Chatta con Giulietta