Lumìe di Sicilia | Trama ragionata

lumìe di sicilia

Lumìe di Sicilia è il primo testo di Pirandello, scritto nel 1905 e che va in scena nel 1910 insieme con La morsa. Le due opere furono interpretate il 9 dicembre 1910 al Teatro Metastasio di Roma dalla Compagnia dei Minimi di Nino Martoglio. Lo stesso autore curò poi una versione in lingua siciliana che venne interpretata il 1º luglio 1915 a Catania da Angelo Musco. Era convinzione di Pirandello che la lingua siciliana fosse più viva dell’italiano ed in grado di essere più vicina alla realtà. Le lumìe sono il frutto di una pianta appartenete al genere Citrus, molto profumato e simile al limone.

Personaggi

  • Miccuccio Bonavino: musicista
  • Sina (Teresina) Arnis: cantante
  • Marta Arnis: madre di Sina
  • Ferdinando: cameriere
  • Dorina: cameriera
  • altri camerieri
  • invitati

Ambientata in una città del nord Italia.
La scena rappresenta una camera di passaggio, con scarsa mobilia: un tavolino, alcune sedie. L’angolo a sinistra (dell’attore) è nascosto da una cortina. Usci laterali, a destra e a sinistra. In fondo, l’uscio comune, a vetri, aperto, dà in una stanza al bujo, attraverso la quale si scorge una bussola che immette in un salone splendidamente illuminato. S’intravede in questo salone, attraverso i vetri della bussola, una sontuosa mensa apparecchiata.

Atto unico

Miccuccio arriva, trasandato dopo due giorni di viaggio, a casa della sua amata Teresina.
Ha portato con sè delle lumìe dalla Sicilia.
Subito si apprende che la sera stessa dell’arrivo di Miccuccio ci sarà una grande festa in onore di Teresina, ormai conosciuta come Sina Marnis.
I camerieri sono pronti a lavorare fino all’alba.
Ad accoglierlo trova due camerieri, Ferdiando e Dorina che, non conoscendolo, non si fidano a lasciare che egli aspetti in casa il ritorno della famosa cantante, occupata a teatro.
Miccuccio li convince usando il nome originario di Sina, con cui lui la conobbe ai tempi della loro infanzia.
Dorina lo riconosce come Domenico, scambio epistolare aituale della signora Marta, madre di Sina: Marta prestò del denaro a Miccuccio affinchè egli potesse curarsi dalla sua malattia e Dorina accompagnò la signora alle poste per inviarglielo.
Miccuccio racconta ai camerieri della sua infanzia con Teresina, di come egli ne scoprì la voce e le abilità canore.
Spiega di quando decise di andare contro al volere di sua madre, aiutando economicamente Teresina e sua madre Marta, che consapevole degli sforzi che costasse a Miccucci, ci teneva a dissuaderlo dal continuare.
L’amore di Miccuccio però era troppo grande, spiega, ed il musicista arrivò addirittura a vendere un podere di sua proprietà per permettere che Sina continuasse a studiare a studiare al conservatorio di Napoli.
Miccuccio mantenne gli studi di Sina per quattro anni, senza più rivederla.
Egli aveva conservato tutte le riviste che parlavano della fama di Sina e dei suoi spostamenti per l’europa.
Ferdinando e Dorina chiedono a Miccuccio se egli intenda sposarla.
Miccuccio conferma che sarebbe il suo sogno, al che, spinto dai camerieri stessi siede a suonare l’arietta che cantava Teresina al paese.
La scena si scuote con il suono el campanello: Sina aveva comandato di voler cenare immediatamente una volte che fosse rientrata in casa.
Il fermento disorienta Miccuccio.
Si vedono molti invitati entrare, vestiti eleganti ed i camerieri iniziano a correre.
Miccuccio si commuove, sente la voce di Sina, ma ancora non riesce a vederla.
In compenso gli si avvicina subito Marta, felicissima di vederlo.
Dopo aver avvisato la figlia dell’arrivo di Miccuccio, Marta fa apparecchiare un tavolo in disparte dalla festa per lei e Miccuccio.
Gli dice che Sina non può farsi vedere subito, ella è presa dagli invitati e da questioni lavorative, ma gli assicura che quanto prima lo saluterà.
I due chiacchierano del paese, dei vicini, della soffitta dove cantava Teresina, di vecchie conoscenze, tanti ricordi e delle loro vite al presente.
Miccuccio confessa la sua stanchezza dopo il viaggio e non nasconde la sua fame dopo due giorni di digiuno.
D’improvviso si mostra Sina, per un saluto fugace e scappa lasciando la promessa di tornare a breve.
Alla vista di Sina, Miccuccio è sconcertato, incredulo, basito.
Ella vestita in maniera molto ricca e succinta.
Passa l’appetito a Miccuccio e viene assalito da un senso di sdegno.
Marta comprende che il disagio di Miccuccio, tenta di tamponare la situazione spiegando al giovane di quanto le loro vite siano cambiate.
Miccuccio non accetta la nuova Teresina e quando questa vuole sentire il profumo delle lumìe, reagisce con fierezza: lei non ne è più degna e le dona invece alla madre.
La regina che ha di fronte lo disgusta; vuole lasciare i denari che aveva riportato per il prestito fattogli da Marta e andarsene.
Con un gesto intrusivo mette il denaro nella scollatura di Sina in lacrime.
Anche Marta, scossa piange.
“Per te, c’è questo, ora. Qua! qua! ecco! così! E basta! – Non piangere! – Addio, zia Marta! – Buona fortuna! ”

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Così è (se vi pare)

Lumìe di Sicilia – Copione

(SFA, “Storia del Teatro” – Relazione a cura di Nikla Onesti)

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