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Un mestiere che si può insegnare e imparare | Sistema Stanislavskij

In questa lezione abbiamo iniziato a leggere il primo capitolo del libro “Il lavoro dell’attore su stesso” del celebre attore e regista russo Konstantin Sergeevic Stanislavskij. Questo saggio compie una grande rivoluzione nell’ambito della formazione attoriale: il mestiere attoriale non è lasciato al caso o all’istinto. L’arte scenica si può trasmettere e imparare. Anche chi è mediamente dotato, grazie allo studio e all’esercizio, può raggiungere risultati di qualità. In tempi in cui gli attori erano nella gran parte figli d’arte  e il mestiere veniva considerato una qualità innata, questo approccio è innovativo.

Torcov propone un saggio

Il saggio viene scritto sotto forma di diario e raccontato dal punto di vista del protagonista, il giovane Kostantin Nazvanov. Gli studenti sono pronti per iniziare le lezioni con Nikolaevic Torcov, il direttore della scuola, ma questi si limita ad annunciare che ci sarà un saggio. Gli allievi sono invitati a scegliere dei pezzi a scelta e andranno in scena fra 5 giorni. Sarà uno spettacolo nel teatro grande alla presenza del pubblico, della compagnia e della direzione artistica.
Inizialmente erano favorevoli solo in tre: il giovane Govorkov, la bella Vel’jaminova e il piccolo V’juncov.

La finestra di Overton

Il nostro direttore ci ha fatto riflettere su quello che avviene. Nazvanov inizialmente è tra quelli che non si ritengono pronti. Giustamente, si è iscritto in una scuola per imparare e non si sente in grado di presentarsi in scena. Ma avviene un fatto che è stato spiegato da Overton. Un’idea inizialmente considerata inaccettabile attraverso un percorso diventa progressivamente condivisa.
All’inizio in sette non erano d’accordo perché partivano dal presupposto che erano lì per studiare e non per esibirsi, ma i tre compagni favorevoli e vogliosi di andare in scena, hanno iniziato a sostenere l’idea del saggio mostrando i lati positivi. Qualcuno ha cominciato a cedere, alla fine l’idea è parsa accettabile. Nazvanov, Puskin e Sustov decidono di partire dal “vaudeville”, ritenendo questo un genere adatto a dei principianti. Il vaudeville è una commedia  leggera che si è diffusa in Francia tra la fine dell’700 e inizio dell’800. In Italia viene chiamata “pochade” e generalmente in questo tipo di spettacolo erano presenti sketch comici intervallati da canzoni e balletti. Il tutto era di basso livello e non era certo all’altezza di Molière.
Ma, sentendo che gli altri compagni puntavano ad autori più importanti, la modestia dei tre amici è venuta meno. Alla fine Nazvanov si è fermato su Otello e lo ha scelto non perché fosse adatto a se stesso, ma perché a casa aveva solo quell’opera. Il processo descritto da Overton si è completato. Il giovane che all’inizio umilmente non  riteneva di avere abbastanza mestiere per presentarsi in scena, si trova ora impegnato in uno dei ruoli più difficili e complicati della storia del teatro: Jago. É una situazione paradossale, ma è così che i governanti riescono a guidare le masse ci ricorda Overton. E qui Stanislavskij dimostra di avere una raffinata sapienza psicologica.

Oltre le sue forze

Così Nazvanov si trova impegnato in un’impresa che va oltre le sue forze. Prova a casa sua. Inizialmente è entusiasta e sembra che tutto vada per il meglio. Poi si guarda allo specchio e tutto il lavoro fatto gli appare insulso. Quando gli tocca di provare in teatro crollano tutte le certezze che si era costruito a casa. Il grande spazio e il buio della platea sembrano inghiottirlo.

(SFA, Sistema Stanislavskij, lezione del 12 novembre 2021 con Mario Restagno – Relazione a cura di Grazia Micaletto)

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