La tecnica rappresentativa è stato l’argomento della lezione del 28 novembre 2024.
Il corso sul sitema Stanislavkij è tenuto dal nostro direttore, Mario Restagno.
Ogni settimana dedichiamo un’ora per leggere il testo di riferimento Il Lavoro dell’Attore su se stesso di K. S. Stanislavskij.
La tecnica rappresentativa
Oggi abbiamo approfondito il concetto di tecnica rappresentativa e la differenza fondamentale tra rivivere un’emozione autenticamente e rappresentarla in modo meccanico.
Il tema centrale della lezione è stato come gli attori devono essere coinvolti emotivamente nella loro interpretazione, piuttosto che limitarsi a ripetere gesti e parole senza un vero sentimento.
Il docente ha fatto riferimento al sistema di recitazione sviluppato da Stanislavskij, utilizzato dal Group Theatre negli anni ’30.
Questo approccio ha rivoluzionato il modo di prepararsi per uno spettacolo, sottolineando l’importanza di rivivere le emozioni del personaggio ogni volta che si entra in scena, rendendo ogni interpretazione fresca e immediata.
Nel 1931 andò in scena la prima produzione del Group Theatre che stupì pubblico e critici.
Testimoni narrano che gli attori non smettevano di recitare neppure dietro le quinte durante le pause.
Lo spettacolo ebbe un impatto impressionante poiché al tempo il pubblico non era abituato ad una recitazione così vera ed intensa.
A differenza di un approccio meccanico, dove l’attore ripete in modo perfetto e immutabile il comportamento del personaggio, Stanislavskij sostiene che l’attore debba cercare una connessione emotiva e profonda con il personaggio e con il pubblico.
Lo specchio
Un punto centrale che è stato discusso riguarda l’uso dello specchio.
A pagina 25 de Il Lavoro dell’Attore su se stesso, il direttore chiede a Sustov di descrivere come ha preparato il suo personaggio.
Lo studente afferma che per verificare come esprimeva esteriormente la parte che avevo già rivissuta, ha lavorato davanti allo specchio.
«Questo è pericoloso, ma è anche tipico del metodo rappresentativo. Ricordatevi che dello specchio bisogna servirsi con molta prudenza. Insegna all ‘attore a guardarsi fuori e non dentro.» [pag. 26]
I danzatori sono abituati a stare davanti allo specchio perché devono controllare i movimenti.
Il nostro insegnante accenna ad un incontro con il coreografo Max Luna.
Quest’ultimo diceva che quando chiedeva agli attori di buttarsi a terra, lo facevano senza problemi.
I danzatori, invece, si fanno un sacco di domande.
Ogni gesto del danzatore deve funzionare “esteticamente”.
Lo specchio abitua anche ad autocontrollarsi: non è positivo per l’attore che invece deve affidarsi al regista.
Coquelin Ainé
Gli attori che utilizzano la tecnica rappresentativa vengono descritti in questo modo: «Essi si sforzano di trovare in se stessi e sot tolineare i tratti umani più tipici che esprimano la vita interiore di una data parte. Creata defini tivamente, per ognuna di essi, la forma migliore, l’ attore si studia naturalmente di reincarnarla, ogni volta, meccanicamente, senza alcuna partecipazione del sentimento».
L’attore si limita a riproporre un comportamento esteriore senza un coinvolgimento emotivo genuino.
Viene citato il francese Coquelin Ainé come attore che utilizza la tecnica rappresentativa.
Arkadij Nikolaevic, legge un brano del volume di Coquelin: «L’attore crea nella sua immaginazione il modello, poi, come un pittore, ne coglie ogni tratto e lo trasporta su se stesso. Vede Tartuffe con un determinato costume e lo indossa, vede la sua andatura e la imita, nota la sua fisionomia e la assume. Continua a modificare il suo viso, la figura e la pelle, per così dire, fino a quando il critico che si cela nel suo io primitivo, non sarà soddisfatto e non troverà una rassomiglianza positiva tra lui e Tartuffe. E questo è niente, non è che la rassomiglianza esteriore, la copia della persona rappresentata, non il personaggio. Bisogna che l’attore costringa Tartuffe a parlare con quella voce che gli sembra debba avere Tartuffe e precisare ogni movimento del personaggio. Bisogna che si costringa a muoversi, camminare, gesticolare, ascoltare, pensare come Tartuffe, assumere l’anima di Tartuffe. Solo a questo punto il ritratto è pronto e lo si può mettere in cornice, cioè in scena, e lo spettatore dirà: “Ecco Tartuffe”» [pag. 28]
Stanislavskij ammette che anche la rappresentazione di una parte, seguendo il processo di Coquelin è creazione, arte.
Tuttavia, gli obbiettivi che si pone il nuovo sistema, sono diversi.
Un nuova estetica
Coquelin è esplicito: «L’arte non è la vita reale, e nemmeno il suo riflesso. Essa crea fuori del tempo e dello spazio la sua vita, bella proprio per la sua astrazione».
A Stanislavskij non interessa vedere in scena la perfezione.
La ricerca della perfezione, intesa come un’esecuzione fredda e calcolata, può limitare la libertà creativa dell’attore.
La perfezione non è umana.
Noi non possiamo accettare una simile sfida all’unico artista perfetto e ineguagliabile: la natura creatrice.
Il maestro russo si domanda a che cosa serve creare in scena una vita migliore, non quella reale, umana, ma un’altra corretta per la scena.
Un vita che non esiste non è utile a migliorare il mondo.
Stanislaviskij propone una tecnica di recitazione che rappresenta in scena la vita reale delle donne e degli uomini.
La preparazione non deve limitarsi a memorizzare battute e movimenti, ma richiede di incarnare il personaggio in modo genuino e intenso ogni volta che si recita.
Dire le parole non basta, si deve rivivere il sentimento.
È evidente che l’approccio proposto da Stanislavskij è faticoso: richiede un impegno emotivo che dà vita alla performance.
Utopia
La tecnica di Stanislavskij è un’utopia sulle assi del palco.
Leggendo la storia del Group Theatre ci rendiamo conto di quanto sia dispendioso per l’attore essere aderente al vero.
Rivivere nelle prove ed ogni sera con rinnovata adesione talune emozioni può risultare devastante.
Pensiamo di dover replicare ogni giorno per 100-120 serate un ruolo intenso.
Pensiamo ad esempio di replicare la scena iconica di Heath Andrew Ledger in The Dark Knight (2008) di Christopher Nolan.
Questo ruolo gli è valso un premio Oscar postumo come miglior attore non protagonista.
Non è possibile replicare tante volte una scena come quella dell’interrogatorio tra Batman e Joker.
Per questo motivo il nostro direttore sostiene che il sistema Stanislavskij è un’utopia.
Sul set cinematografico si può puntare ad ottenere una performance importante in alcuni ciak.
La concentrazione dell’attore e l’impegno emotivo può durare alcune ore.
Una volta filmata, l’azione rimane per fissata per sempre.
In teatro dovremo trovare un compromesso.
Altri articoli:
(SFA, Sistema Stanislavskij, lezione del 28 novembre 2024 con Mario Restagno – Relazione a cura di Marta Marandola)