saturi di vita

Saturi di vita | Sistema Stanislavskij

Saturi di vita è il primo tema su cui abbiamo riflettuto oggi.
Stiamo affrontando i primi capitoli del testo “Il lavoro dell’attore su se stesso” di K. S. Stanislavskij.

Saturi di vita

La nostra riflessione di oggi, è iniziata dalla pagina 23, in cui Stanislavskij scrive: «Noi crediamo che solo un’arte satura delle esperienze dirette e vitali dell’attore può trasmettere le impalpabili sfumature e tutta la profondità della vita interiore di un personaggio».
Da questo spunto, abbiamo riflettuto su quanto sia fondamentale per gli artisti essere saturi di vita.
Ad esempio, se un attore deve rappresentare un personaggio di vent’anni, per poterlo fare correttamente deve essere saturo delle esperienze di vita di una persona di quell’età.
Ciò non può accadere se l’artista rimane nella propria bolla, nella propria comfort-zone.
É necessario che entri in relazione con persone di vent’anni.
Le conosca da vicino.
Ascolti il modo di parlare.
Comprenda gli interessi.
Quando l’attore sarà saturo di questi e altri elementi, potrà rappresentare un ventenne credibile.
Per gli artisti è necessario vivere come delle spugne.
Dobbiamo considerare che questo atteggiamento può avere delle ripercussioni negative.
Molti artisti sono troppo saturi di vita.
Si fanno trascinare in esperienze al limite cercando la saturazione perché li rende estremamente reattivi artisticamente.
Spesso ne pagano un prezzo elevato a livello emotivo e personale.

Usare un metodo

L’artista non deve lasciarsi trasportare in qualsiasi cosa gli venga proposta, perché, così facendo, tenderebbe a sbandare in abitudini e compagnie sbagliate.
L’attore ha il potere di scegliere le esperienze di cui vuole essere saturo, e deve educarsi a farlo, perché non può farne a meno, né evitarle.
Ad esempio, si dice che Dustin Hoffman, per interpretare il suo personaggio affetto da autismo in “Rain Man”, abbia passato un lungo periodo in compagnia di persone affette da tale disturbo.
Per l’attore era importante dar vita ad un’interpretazione sincera e realistica, non ad una mera imitazione.
Nel 1988 ha ottenuto l’oscar con questa interpretazione.
Vi sono altri esempi di attori che si sono dedicati ad uno studio paziente e meticoloso.
Questi sono esempi di come si può rendersi “saturi di vita” per interpretare un dato personaggio.
Una volta terminato il lavoro bisogna anche “desaturarsi”.
Infatti, l’attore non deve conservare dentro di sè ciò che non gli appartiene.
E questa accortezza va tenuta in conto specialmente quando di affrontano ruoli negativi.

Attenzione alla specializzazione

Alcuni, che hanno sviluppato istintivamente questa capacità di osservazione ed empatia, creano dei veri e propri personaggi.
Tra gli attori italiani Paolo Villaggio è un esempio esemplare.
Molto spesso attori e attrici si specializzano, cioè diventano bravi ad interpretare una tipologia di personaggio.
Professionalmente la specializzazione comporta dei rischi.
L’artista bravissimo, ma monocolore, può proporre ed essere scelto solo per quel ruolo.
Se ha fortuna può diventare il motivo di un grande successo.
Dare continuità al successo è molto difficile.
Al contrario, se l’attore ha una gamma di colori diversi, ha maggiori possibilità di essere scelto, anche se ciò potrebbe portarlo ad avere meno successo.
É preferibile allenarsi ad osservare il modo che ogni persona ha per accogliere una certa emozione.
In questa maniera, ha uno studio di tante sfumature di quell’emozione per quando dovrà interpretarla.
È essenziale, quindi, che non rinunci a tutta una serie di esperienze che potrebbero aiutarlo nei suoi ruoli recitativi.

La sofferenza

Anche la sofferenza sono un grande patrimonio per gli artisti.
Le persone che hanno sofferto hanno un potenziale comunicativo molto importante.
Trasmettono umanità.
In questo caso non c’è, però, bisogno di cercarla, perché arriva da sola.
Dobbiamo imparare ad accogliere la sofferenza, a non fuggirla.
Non è facile perché in occidente ci stanno insegnando a fuggire la sofferenza.
Temiamo ed alcuni sono terrorizzati dalla sofferenza.
Così facendo evitiamo uno strumento di maturazione umana fondamentale.
Restiamo fanciulli e non cresciamo.
É raro trovare un grande artista che non abbia alle sue spalle una grande sofferenza.

Recitare d’istinto

A pagina 24, abbiamo parlato del “recitare d’istinto”.
É impossibile avere l’intensità al massimo per tutto lo spettacolo, neanche il più bravo riesce.
L’artista non può vivere di momenti che arrivano casualmente, che ci fanno sentire in paradiso, con la voglia di riviverli all’infinito, ma deve rimanere distaccato.
Non sempre l’ispirazione c’è.
E che si fa quando è assente?
La tecnica può salvarci in questi momenti.
Non si può recitare solo d’istinto e non si può contare solo sull’ispirazione.
Allo stesso tempo, la tecnica è fondamentale, ma non emoziona, non coinvolge, non conquista.
Per essere un artista completo è necessario averle entrambe.
A pagina 25, invece, abbiamo affrontato il metodo che ci propone Stanislavskij, per poter rivivere il personaggio ogni volta che si va in scena, come la prima volta in cui viene vissuto e memorizzato. Secondo lui, durante le prove si deve creare un sistema per interpretarlo ogni volta in modo credibile, anche se è più faticoso rispetto al fingerlo ad ogni replica.
Anche a livello cinematografico è un buon coach, aiuta se si vuole ripetere la stessa scena più volte. Infatti, la telecamera si accorge se fai qualcosa di diverso, cogliendo ogni dettaglio.

(SFA, Sistema Stanislavskij, lezione del 12 gennaio 2023 con Mario Restagno – Relazione a cura di Miriam Castiglione)

Related Posts

×

Hello!

Click one of our contacts below to chat on WhatsApp

× Chatta con Giulietta