se tu non ti butti

Se tu non ti butti… | Sistema Stanislavskij

“Se tu non ti butti, non fai questa azione di “sbroccare”, di sganciare, non imparerai mai questo mestiere”.
La lezione del 13/01/2023 è iniziata così.

Se tu non ti butti

Come tutte le arti, anche quella attoriale ha un aspetto concreto o pratico.
Se l’attore non fa, non agisce, non entra in scena non succede niente.
E quando dobbiamo agire di fronte algi altri scattano subito meccanismi psichici: giudizio, paura, tabù, ecc…
Questo lo faccio e questo non lo faccio.
L’attore fa cose che la gente comune può criticare facilmente.
Non è facile stare al centro dell’attenzione per molte persone.
Alcuni, invece, adorano trovarsi sotto tanti occhi.
Cercano l’attenzione degli altri e si trovano a loro agio quando sono osservati.
Si buttano letteralmente in scena e sono anche disposti a qualsiasi azione pur di ottenere l’applauso.

Il bambino di Vera

Nell’episodio citato da Stanivsalskij (Il Lavoro dell’Attore su se stesso, pag. 289), Vera ha interpretato la scena del bambino abbandonato.
La prima volta risulta commovente: «… lacrime vere le inondavano il viso, ed era tanta la sua tenerezza materna, che anche per noi il pezzo di legno, avvolto in un tovagliolo, è diventato una creatura viva. E quando è arrivata la scena della morte abbiamo dovuto interromperla, perché era tale l’intensità della sua rievocazione che abbiamo avuto paura per lei».
Vera ha da poco perso un bambino.
La sua interpretazione è stata toccante, ma quando la riprova una seconda volta si ferma e non riesce ad andare avanti.
Torcov allora le chiede di affidarsi alla tecnica.
Con l’aiuto del maestro, Vera ricostruisce la scena passo dopo passo.
Alla fine ottiene un buon risultato, anche se non paragonabile alla prima volta.
Si accende la discussione se sia vera arte la prima o la seconda.

Vera arte

Uno degli errori più comuni che commette l’attore è pensare che quella che sta recitando sia sempre “l’opera assoluta”, dove deve dare il meglio di sé e creare un’opera priva di difetti.
Nel testo di Stanislavskij gli studenti discutono con il direttore se sia vera arte la prima interpretazione di Vera o quella guidata.
«Senza questi metodi l’ispirazione dell’attore sarebbe condannata a splendere una sola volta, e poi spegnersi per sempre» (pag. 292)
Non possiamo ottenere sempre momenti magici.
Un’opera teatrale sarà sempre piena di errori.
Basti pensare ad un capolavoro come Amleto che, nonostante sia un capolavoro, dal punto di vista drammaturgico presenta  diverse scene sviluppate in maniera disarmonica.
Non ci viene chiesto di attingere sempre alla nostra intimità.
Ci viene chiesto di non temere di attingere.
Se tu non ti butti nella scena e non agisci di conseguenza non succede niente.
Se ti butti qualcosa potrà accadere.
La seconda volta Vera ha accettato di usare i suoi veri sentimenti aiutata dal maestro.
Ha messo in gioco qualcosa della sua intimità per ottenere un interpretazione ripetibile più volte.
Agli attori si chiede questa disponibilità.

Perdere il controllo

L’attore dev’essere pronto a “perdere il controllo”.
Ciò che frena la crescita attoriale è proprio la paura di perdere il controllo.
Nell’arte della recitazione è come nell’arte di camminare.
Se ci spaventiamo alle prime cadute finiremo per non abbandonare più il girello che ci fornisce sicurezza.
Allo stesso modo l’attore finirà per accontentarsi di una recitazione povera, piatta e scolastica o addirittura ad abbandonare la sua professione.

Tecnica e ispirazione

Ci vuole equilibrio.
Sono fondamentali entrambe: tecnica e ispirazione.
Ciò che aiuta l’attore a raggiungere un livello simile “alla prima volta” è proprio la tecnica.
È ovvio che la performance non sarà mai identica alla prima volta a cui si è attinto al proprio bagaglio di esperienze ma, grazie alla tecnica, l’attore potrà replicare l’interpretazione in maniera “più che dignitosa”.
Rispettando una serie di principi di autoconservazione e allenamenti si può portare in scena uno spettacolo di più repliche, senza autodistruggersi.
Per il settore cinematografico però non vale lo stesso discorso.
Quando si lavora ad un film si ricerca quella “prima volta”, quella “emozione vera”, il che può avvenire dopo diverse riprese, nel migliore dei casi.
La macchina da presa è un oggetto inanimato e come tale non interpreta le emozioni, registra e basta.
Ciò significa che, se l’attore è in grado di riprodurre meccanicamente gli effetti di un’emozione, la telecamera lo registrerà al pari di un attore che sta soffrendo realmente.
Il nostro direttore riporta alcuni episodi legati a Francesca Piroi, un ex-allieva dalla SFA, che aveva allenato la capacità di piangere a comando.
Le bastavano alcuni secondi di concentrazione.
Durante un casting, alla richiesta di improvvisare qualcosa, lei semplicemente cominciò a piangere guardando dritta in camera.
Il regista rimase impressionato e la prese nel progetto.
Un’abilità che poi non è stata sfruttata sul set per questioni tecniche.
Infatti, il pianto vero era troppo vero rovinava il trucco, così sono ricorsi al solito stimolatore di lacrime al mentolo.

Studiare le emozioni scientificamente

Il compito dell’attore è studiare l’essere umano in tutte le sue sfaccettature dal punto di vista fisico e cerebrale oltre che spirituale.
Come reagisce il corpo a questa sensazione?
Che tipo di reazioni chimiche avvengono all’interno del cervello?
La ricerca di Giacomo Rizzolati insegna che “i neuroni specchio si trovano nelle aree motorie, e descrivono l’azione altrui nel cervello di chi guarda in termini motori”.
Questo significa che c’è un legame profondo tra gli esseri umani.
A livello cerebrale, se ti guardo bere o mangiare qualcosa , è come se lo stessi facendo anch’io che sono solo spettatore.
Nella fase di studio e allenamento l’attore deve indagare le proprie emozioni, ricercare il proprio io e sperimentare sensazioni per poter poi mettere in scena quelli che sono i meccanismi fisici che entrano in atto nel momento di una determinata emozione/situazione, risultando il più credibile possibile.
Questo è ciò che c’è di “vero” in scena, tutto il resto è finzione : il sangue, il vomito, le lacrime.
Per cui è giusto che l’attore “attraversi la strada”, metaforicamente parlando, cioè rischi attingendo al proprio bagaglio di esperienze, faccia delle prove, sperimenti, perché sono le sue risorse uniche e irripetibili.
É un’attività che va svolta con cautela, “controllando prima di attraversare” e salvaguardandosi sempre.
La vita di molti artisti, invece, è disastrata, perché attingono continuamente al proprio centro psichico.
Non si proteggono: alla lunga è una condotta che può portare all’autodistruzione.
Noi ci dobbiamo tutelare, per poter fare questo mestiere in maniera continuativa.
Dobbiamo proteggere la nostra anima e custodirla come qualcosa di prezioso.
L’accademia è solo l’inizio, bisogna continuare a coltivare i propri “strumenti base” tutta la vita.

Come le donne

La lezione si conclude a pagina 294 con le parole di Stanivslaskij che parla attraverso Torcov e dice: «tieni sempre presente che ci sono due strade una porta al mestiere , una porta alla creazione autentica. all’arte».
Torcov continua affermando che «la creazione non è un trucco, lo si può fare con un metodo» e termina dicendo che «la creazione per noi è concepire, portare in seno una creatura viva, l’uomo personaggio».
Questa metafora del parto rende molto bene l’idea della creazione artistica.
L’artista, infatti, quando crea diventa femmina, ruba il mestiere alla donna che mette al mondo una nuova vita, la quale vive una realtà autonoma.
Anche se nella nostra società patriarcale non è così, l’essere capace di mettere al mondo una nuova vita ha un potere superiore.
Forse in un futuro distopico, grazie ai progressi dell’eugenetica, la nascita sarà una lavorazione programmata in serie.
Aldous Huxley ne Il mondo nuovo (trad. di Brave new world – 1932) descrive una società dove i bambini nascono in fabbrica.
Per ora, questa capacità è concessa solo alle donne.
In campo artistico si può partorire un’idea, una canzone o un’opera.
L’artista per “partorire”, deve sviluppare il suo lato femminile.
É interessante notare che, nel rapporto modella-pittore, i ruoli si invertono.
La femmina (modella) feconda il maschio (pittore) che genera l’opera.
La musa ispiratrice svolge una funzione maschile.
Ciò permette il concepimento di una nuova vita, frutto dell’unione di entrambi, l’opera d’arte finale.
Torcov conclude dicendo che in questo periodo di gestazione il regista segue e aiuta queste fasi facendo da “compare“ .

(SFA, Sistema Stanislavskij, lezione del 13 gennaio 2023 con Mario Restagno – Relazione a cura di Zaccaria Hassanien)

Zaccaria Hassanien

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