La recitazione meccanica è l’argomento della lezione di oggi.
Siamo a pag. 29 de Il lavoro dell’attore su stesso.
Coquelin
«Nonostante tutto questo, bisogna riconoscere che anche la rappresentazione di una parte, seguendo in parte il nostro processo, è
creazione, arte.»
Il paragrafo precedente si è chiuso con questa affermazione.
Stanislaviskij si riferisce al metodo rappresentativo di cui Coquelin Ainé è un sostenitore.
L’attore francese (1841-1909) scrisse: L’art et le comédien (1880), Les comédiens par un comédien (1882), L’art de dire le monologue (1884).
A suo avviso gli attori devono meravigliare più che commuovere.
In questo nuovo paragrafo Torcov dice ai suoi studenti: «Non esiste arte autentica, se non si rivive la parte».
Per riprodurre i sentimenti occorre provarli.
I sentimenti non possono essere imitati, sarebbe “una maschera morta di un sentimento inesistente”.
La recitazione meccanica
Recitando meccanicamente possiamo fare a meno di rivivere semplificandoci la vita, ma rischiamo di cadere nei clichés.
Abbiamo analizzato tre tipi di cliché.
Il primo è quello fissato per l’eternità e trasmesso dalla tradizione professionale.
Azioni che si compiono in relazione a un certo tipo di situazione come appoggiare la mano sul cuore che sta ad indicare l’amore che si prova, oppure il dorso della mano sulla fronte che indica la drammaticità dell’azione.
Un secondo cliché viene copiato da attori famosi che lo ripetono in determinate situazioni, diventando delle caricature di quegli stessi personaggi.
Infine, il terzo cliché è quello che viene creato dagli attori stessi.
Ciascuno crea alcuni suoi cliché impostando un certo tipo di camminata, una mimica accentuata, varie intonazioni di voce.
Questi cliché in particolare sono basati più sul rendere piacevole la scena piuttosto che sulla bellezza.
Attenzione al cliché!
Il problema più importante è che i clichés si attaccano addosso all’attore che non riesce più a liberarsene, sono difficili da eliminare.
La recitazione meccanica non genera più sentimenti vivi dell’uomo, ma un’enfasi artistica che per uno spettatore neofito può anche risultare gradevole, ma in realtà l’attore in questo modo non sta più facendo vera arte, ma un semplice mestiere teatrale.
Talvolta gli attori che hanno imparato a recitare guardando gli altri attori si sono creati delle abitudini errate che non si riescono ad abbandonare.
Il cliché guarda la forma e trascura il contenuto.
Stanislavskij insegna che ci deve essere equilibrio tra forma e contenuto.
Ogni situazione richiede un suo particolare gesto e ogni emozione genera un unico gesto, diverso da persona a persona, ma difficile da trovare.
Gli attori che ricorrono al cliché risolvono un problema che richiederebbe molta più fatica.
Bello e piacevole
In arte bisogna fare attenzione alla differenza tra piacevole e bello.
Il cliché punta al piacevole, cioè ad un risultato immediato, ma effimero.
Il bello, invece, dura nel tempo.
Il piacevole accontenta subito il pubblico e consente di ottenere più facilmente l’approvazione.
L’artista coglie i gusti del pubblico e lo asseconda.
Così facendo rinuncia ad avere una sua poetica.
Stanislavskij insegna a non lasciarsi sedurre dal piacevole.
La via del bello è più difficile da seguire, ma porta all’arte.
Consente all’artista di superare il tempo e le generazioni.
(SFA, Sistema Stanislavskij, lezione del 24 gennaio 2023 con Mario Restagno – Relazione a cura di Eva Giaccone)